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Per la nostra gioia i maestri sono tantissimi, non pochi di noi possono vantare di avere avuto un parente santo e ammirevole, per saggio ed equilibrato.
Questa elenco é solo una semplice indicazione:
R. Guardini, Pensatori Religiosi, Brescia 1977 p. 121-135
Note – LIBERAMENTE COMMENTATE - per una immagine del pensiero platonico
Platone stigmatizza il filosofo fissandogli delle doti e delle capacità, rivenienti da una rigorosa formazione morale e intellettuale.
Dote principale è la capacità costante di verifica proveniente da una volontà ferrea messa a disposizione del bene.
Platone è entrato in conflitto sia con i cosiddetti filosofi dell’immaginazione che si regolano secondo l’istinto e il sentimento senza che vi sia un lavoro di analisi coscienziosa e di fatica critica.
Ma è entrato in conflitto anche con i sofisti, anche essi mancano di serietà e quindi di autentica ricerca, sono strumentalizzatori della verità per i propri comodi, influenzando i propri simili per aggiogarli al loro egoismo.
E’ l’incontro con Socrate che fa radicare in Platone il suo pensiero perché vede in lui l’esempio da seguire e al contempo l’attualizzatore delle sue teorie.
Il mondo platonico ha due orientamenti, il primo è l’essere del pensiero che deve sfocare nella conoscenza,
il secondo orientamento è sia l’educazione del singolo che l’educazione della società.
Per Platone il vero essere filosofico, grande, nobile e divino è accessibile solo a pochi eletti, cioè a coloro che amano la verità e il bene più della stessa vita.
Il pensiero filosofico inoltre non è frutto di elucubrazione o elaborazione mentale, ma è suscitato dalla risoluzione dei problemi reali, frutto della tensione tra maestro e discepolo o tra correnti filosofiche diverse.
La verità è potenza assoluta, il filosofo che è a servizio della verità ne è anche il dispensatore. Dispensatore di una potenza che è vita, tutto il contrario di quello che avviene oggi con i filosofi nichilisti.
Il filosofo a servizio della verità e della vita usa il suo enorme potere per la formazione di una società sempre più giusta politicamente.
Il bene segue la verità e la verità è imperniata nel valore, solo grazie al bene l’ente è, contrariamente l’ente si dissolve.
A questo punto il pensiero si fa metafisico. Infatti la staticità paralizzante nasce dal puntare sull’ente come fine a se stesso, mentre la dinamicità che è vita è puntare sul valore, come il bene è un “essere mosso” il bene infatti non è forma ma pienezza di valore.
L’elevatura morale e intellettuale di un uomo nasce dalla vera conoscenza e questa si basa sull’essenza. L’impulso del bene che tende all’essenza è dinamico, da questo scaturisce una luce che fa intendere la forza spirituale che viene ordinata dall’idea.
Platone quindi richiama all’amore e al dono di se come fondamento del’esistere. E’ il bene che tocca l’uomo, infatti l’ente è buono ed è essente nella misura in cui è buono. Se l’essere raggiunge l’idea, raggiunge la verità che è giustizia intesa come perfezione dell’essere. A base della conoscenza c’è l’idea, l’idea valida è anche eterna.
Il concetto del bene come dell’essenza non sono concetti limitati e finiti, quindi chi ha orecchi per intendere, intenda: BUONA RICERCA!
-UN UOMO NELLA CULTURA DELLA CRISI-
MARITAIN universalmente ammirato dovette ricevere l'intimo tormento di constatare la deriva del genere umano nonostante le conclusioni del suo lavoro fossero a disposizione di tutti. Gli uomini di cultura lo applaudivano e lo relegavano negli scaffali polverosi di tutte le biblioteche del mondo, ma si allontanarono dal suo insegnamento: i tempi del riscatto umano ed universale assumeranno ritmi molto lenti, non quella accelerazione che era richiesta. A tradire il suo lucido pensiero furono molti intellettuali cattolici, i quali innescarono un processo corruttivo del cristianesimo quale la storia non ha mai conosciuto. Il cristianesimo fu ridotto al livello ideologico, dall’esperienza viva e personale della divinità si passerà a un moralismo ipocrita o a una “teoria” fra le altre. Si doveva costruire su quegli errori filosofici e morali che avrebbero posto i presupposti alle carneficine immani delle guerre mondiali. Tutti coloro che cercheranno i fondamenti scientifici e culturali per un approfondimento alle tematiche qui trattate, potranno notevoli difficoltà, perche due secoli di positivismo hanno portato ad una distorsione ideologica e iterpretativa. Chi vuole fare un serio lavoro di ricerca deve risalire alle fonti del pensiero. L’epoca moderna ha sostanzialmente tradito le esigenza della verità del pensiero, proprio mentre richiede in noi una fede cieca nel suo metodo scientifico. La nostra epoca passerà alla storia come un’epoca confusa e distorta da ipoteche ideologiche. L’ostracismo culturale operato è tale che tanti in buona fede hanno dovuto dare credito al materiale predigerito da altri. Gli intellettuali del XIX sec. non optarono per un sistema definitivo e stabile nella costruzione permanente della dignità umana (come era naturale che fosse), ma posero le premesse di una pseudo civiltà fondata sul nichilismo e l’individualismo relativista, che portava in se già dal suo sorgere i semi della crisi. - Jacques Maritain, filosofo francese, nato a Parigi il 1882, seguì dapprima l’indirizzo scientifico-materialista, ma ben presto l’intima insoddisfazione derivante dalla mancanza di una fede determinò in lui una crisi profonda che lo spinse, con la sua compagna, sull’orlo del suicidio. Dopo un cammino interiore che passò attraverso l’insegnamento di Bergson, approdò al Cristianesimo ed in particolare al pensiero di S.Tommaso, al suo realismo metafisico, infatti la prima evidenza della coscienza è data dalla percezione dell’Essere, indispensabile per la comprensione dell’identità di ogni uomo. Tale è il significato del realismo critico di M. che concepisce l’atto conoscitivo del pensiero come un atto -non creativo ma intenzionale- una Verità sovrasoggettiva. La conoscenza razionale e metafisica ha tuttavia dei limiti che possono essere spostati solo dall’amore. Solo l’amore può condurci e conquistarci all’esperienza mistica, la conoscenza sperimentale del Dio nascosto. La dottrina sociale si impernia sui concetti di persona e di libertà. L’uomo non è soltanto individuo, ma soprattutto persona, materia e spirito a un tempo. L’umano consorzio non è una comunità di individui, ma una società di persone; in essa trova realizzazione quell’umanesimo integrale che vede l’uomo nella sua figura bipolare appunto di individuo-persona. Maritain rivaluta la natura perché punta sulla concretezza esistenziale dell’uomo, senza nulla togliere alla sua spiritualità, che lo eleva verso il centro d’attrazione e di provenienza dell’intero universo e di tutti gli esseri spirituali. Il suo personalismo teocentrico affida alla società soprattutto il compito di aiutare l’uomo a realizzare i suoi fini superiori, creando, nell’ordine temporale, condizioni idonee ad assicurargli l’esercizio di quella indipendenza o autonomia che, pur avendo per presupposto il libero arbitrio, si supera nella realizzazione concreta della sua essenza spirituale. Perciò la società mira alla realizzazione del bene comune, senza però mai trascurare o menomare la dignità della persona. Ciò sarà possibile attraverso un sistema economico che miri alla redistribuzione dei beni, sostituendo la comproprietà alla proprietà e concedendo ai lavoratori la compartecipazione agli utili e alla gestione dell’azienda; che miri ad un ordinamento politico basato su una democrazia laica, ma permeata di spirito cristiano, in cui il governo della cosa pubblica sia affidato agli eletti del popolo, il quale partecipa loro quel potere sovrano che, a sua volta, ha ricevuto per partecipazione da Dio. L’estetica del M. è una manifestazione del bello e dell’arte che emananti dall’Essere è impressa e fissata nella materia sensibile.(rielaborazione libera di: UTET, terza edizione, Torino) M. non è un filosofo da tavolino, o un professore di filosofia che conduce un discorso teorico, ma un testimone: che partecipa appassionatamente alla battaglia ideologica, che prende precise posizioni sui problemi contemporanei, suscitando consensi e dissensi, come dimostrano le polemiche internazionali intorno alle sue due opere più conosciute, Humanisme integral del 1935 e Le paysan de la Garonne del 1969. Maritain è deliberatamente tomista. Il tomismo, non è un sistema chiuso, ma un metodo di ricerca, fondato sull’evidenza reale e strutturato secondo la rigorosità della logica formale, ed avente valore scientifico. Lo stesso Maritain in “De la verité” precisa così il significato del tomismo nella filosofia contemporanea: “Il tomismo autentico è sempre in stato di attesa di nuove verità da scoprire, da riconoscere, da integrare. Le chiavi che forgia non sono fatte per chiudere le porte ma per aprirle. Non è un sistema chiuso, è una saggezza essenzialmente aperta e senza confini, per il fatto stesso che è una dottrina in divenire e in sviluppo vitale. E’ aperto alle nuove questioni e alle nuove verità che l’evoluzione della cultura e della scienza gli propone. Il tomismo autentico è aperto alle diverse problematiche, al diverso modo di organizzare i problemi, sia che le susciti lui stesso, sia che si trovi in altri universi di pensiero, come la filosofia orientale, l’Islamismo, l’Induismo, il Taoismo, ecc... (Approches sans entraves, Paris, Fleurus, 1973, pp. 68-69). Partendo da questa impostazione, Maritain ha affrontato i problemi culturali più diversi, da quelli morali e politici a quelli pedagogici ed estetici, toccando anche problemi teologici, ma sempre da un punto di vista rigorosamente filosofico e laico. Ma soprattutto, e per tutta la vita, Maritain si è impegnato nell'indagine epistemologica, studiando le diverse articolazioni del discorso filosofico, cercando di individuare le distinzioni e le correlazioni tra filosofia e scienza, tra morale e arte, tra azione e contemplazione, tra religione e politica, tra conoscenza umana e rivelazione divina. Da questa ricerca è nata l'opera che si può considerare il capolavoro del filosofo francese, Distinguer pour unir: ou les degrés du savoir. Nacque a Parigi nel 1882 da una famiglia protestante e venne educato nello spirito della tradizione liberal-borghese. Studiò alla Sorbona filosofia, e durante gli anni universitari fece amicizia con un'ebrea russa, Raissa Oumancoff, che diventerà la compagna della sua vita e della sua avventura spirituale. Subì l'influenza del positivismo di Felix Le Dantec e del socialismo radicale di Charles Péguy; ma il suo spirito inquieto non poteva essere soddisfatto dal materialismo e dal relativismo, come il suo senso della giustizia dall'egualitarismo socialista. I due giovani nella loro ansia di sapere erano al limite della disperazione e del suicidio, quando incontrarono Bergson che al Collége de France spiegava Plotino. Lo spiritualismo di Bergson segna un primo passo verso la liberazione dal dubbio e dall'angoscia, e l'incontro con Léon Bloy un avvicinamento al cattolicesimo. Nel 1905 Maritain si laurea in filosofia e per due anni studia biologia e scienze naturali a Heidelberg. In questo periodo i coniugi Maritain, riscontrata la impossibilità di conciliare il bergsonismo con il cristianesimo, a cui avevano aderito con la conversione conclusasi con il battesimo nella fede cattolica, iniziano a studiare la filosofia di S. Tommaso. Nel 1913 Maritain diventa professore di filosofia presso il liceo Stanislas e l'anno seguente raccoglie nel volume La philosophie bergsonnienne i suoi studi sul confronto fra lo spiritualismo ed il realismo. Nasceranno diverse opere che insieme costituiscono una esposizione critica e sistematica della filosofia tomista a proposito dell'essere, del conoscere e dell'agire. Dal 1923 al 1939 i coniugi Maritain abitano a Meudon, un sobborgo di Parigi, e la loro casa diventa un centro di incontri spirituali e di dibattiti culturali: oltre ai filosofi, ai teologi, letterati, romanzieri, pittori, scultori, musicisti. Da questi incontri con l'arte contemporanea, ed in particolare con l'amicizia con Rounault, nasce la prima opera di estetica dei Maritain. Questa collaborazione dei coniugi Maritain durerà tutta la vita, ed alcune opere verranno pubblicate in comune. Maritain partecipa, sia pure indirettamente, al dibattito politico contemporaneo; inizialmente si avvicina al movimento "Action francaise" di Maurras, un movimento di destra, e collabora alla rivista "La revue universelle". In seguito partecipa con Mounier alla fondazione della rivista "Esprit" e collabora alla rivista "Vendredi", periodici ispirati a posizioni ideologiche di sinistra, senza peraltro iscriversi ad alcun movimento politico, volendo conservare la sua indipendenza di filosofo, ma con una responsabilità che non significa indifferenza, ma che conferma il primato dello spirituale sull'azione immediata dei partiti politici. Maritain infatti non rimane indifferente ai problemi del suo tempo, e firma numerosi manifesti prendendo posizione contro il sopruso e la sopraffazione..., che provocheranno le reazioni rabbiose della destra francese e internazionale. Di notevole interesse, dal punto di vista della filosofia politica, le sei conferenze del 1934, che costituiscono l'opera più conosciuta e più tradotta, Umanesimo integrale, nella quale presenta il suo ideale storico concreto di un nuovo umanesimo, capace di conciliare l'umanesimo con il cristianesimo, la democrazia con il vangelo, superando ogni forma di clericalismo e di laicismo. Per le sue posizioni politiche viene fatto oggetto di una campagna denigratoria, soprattutto in Sudamerica, mentre in Europa viene criticata la sua difesa degli Ebrei. Ma alcune importanti riviste filosofiche incominciano a riconoscere la validità del suo discorso culturale e politico. La seconda guerra mondiale sorprende i Maritain a Toronto, ove Jacques è incaricato di un corso di filosofia presso il Medioeval Institut; di fronte all'invasione nazista e al formarsi di un governo collaborazionista i Maritain decidono di stabilirsi a New York, e la loro casa diventa un punto d'incontro per intellettuali ed artisti francesi in esilio. Segue la tragedia del suo popolo, pubblicando numerosi articoli sulle riviste americane e tenendo una serie di conversazioni alla radio trasmesse verso la Francia. Scrive altre opere politiche, nelle quali contrappone allo storicismo hegeliano una visione cristiana della storia. Con il ritorno in Europa si apre un terzo periodo di attività culturale e, dopo la morte di Raissa (1960), Maritain si ritira a Tolosa nella fraternità dei "Piccoli Fratelli di Gesù" e vive nel loro spirito di povertà e di preghiera, sempre attento, però, al dibattito culturale a cui porta il suo contributo con vivacità e non senza polemica. La sua attenzione non è più attratta dai problemi politici od estetici, ma da quelli teologici ed ecclesiali, che esplora con acuto spirito filosofico. A più di ottant'anni scrive alcune delle sue opere più valide e raccoglie in antologie scritti non ancora pubblicati, rispondendo con chiarezza di pensiero e coerenza morale a coloro che lo attaccano e lo accusano di incoerenza. Intanto anche la Francia ufficiale riconosce i suoi meriti, il suo pensiero si diffonde nel mondo. Maritain muore a Tolosa nel 1973 lasciando un'eredità di più di sessanta opere, di centinaia di articoli sparsi in riviste europee, nord e sud americane, di numerosissime lettere inedite che documentano non solo la sua presenza culturale, ma soprattutto una spiritualità profonda, una amicizia cordiale, una fedeltà rigorosa all'ispirazione filosofica, perché tutti i suoi scritti, tutte le sue prese di posizione hanno una giustificazione teoretica ed una fondazione metafisica. L'estetica come la politica, l'epistemologia come il diritto, la mistica come la teologia sono per Maritain una riflessione sull'essere considerato nella analogia della conoscenza, dell'azione e della poesia.(J. Maritain, La conquista della libertà, Antologia del pensiero etico-politico, ed. La Scuola -Brescia 1977)
MARITAIN
“Due cose esistono in cui la nostra natura non ha la forza di credere: la morte che vediamo e la felicità che non vediamo”. “Il santo cristiano non è un super uomo fatto dalla mano dell’uomo, un Ercole della virtù morale; è un’amico di Dio che vive della carità soprannaturale ed è fatto dalla mano divina che apre la debolezza umana alla pienezza divina discendente in lui, la superbia dell’uomo è spodestata e l’umiltà, in cui abita la forza di Dio, esaltata.” (MARITAIN)
(Maritain, Cristianesimo e democrazia Ed. di Comunità - Milano 1950) "La tragedia delle democrazie moderne consiste nel fatto che esse non sono ancora riuscite a realizzare la democrazia. Molte sono le cause di questo fallimento... Nel momento in cui tutti gli artefici dell'intimidazione intellettuale, del prestigio pseudo-scientifico, o pseudo-letterario, e della calunnia portavano questa falsa ideologia alla massima efficienza. Un'altra grande causa di fallimento è data dall'esigenza di un compimento sia nell'ordine sociale che nell'ordine politico." Queste cose Maritain esprimeva durante la seconda guerra mondiale, quando l'esito del conflitto non era scontato e di fronte al grande scenario dei totalitarismi: L'egoismo delle classi abbienti e l’adesione del proletariato al marxismo eretto a principio mitico della rivoluzione, hanno impedito alle dottrine democratiche di passare nella vita sociale. L'impotenza delle società moderne davanti alla miseria e davanti alla disumanizzazione del lavoro, la loro impossibilità a superare lo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo sono state per esse un amaro fallimento. Ma la causa principale è d'ordine spirituale: essa risiede nella contraddizione interna e nel malinteso tragico di cui sono state vittime le democrazie moderne, particolarmente in Europa. Nel suo principio essenziale questo ideale di vita comune che si chiama democrazia deriva dall'ispirazione evangelica, senza la quale non può sussistere: a causa della cieca logica dei conflitti storici e dei meccanismi della memoria sociale, che non ha niente a che vedere con la logica del pensiero, si sono viste le forze direttrici delle democrazie moderne rinnegare per tutto un secolo il Vangelo ed il Cristianesimo, in nome della libertà umana, e le forze direttrici delle correnti sociali cristiane combattere per tutto un secolo le aspirazioni democratiche in nome della religione. Alla fine dell'ottocento il grande scandalo di cui parlò Pio XI sembrava consumato: le classi operaie cercavano la salvezza rinnegando il cristianesimo, gli ambienti conservatori cristiani cercavano la propria salvezza rinnegando le esigenze temporali della giustizia e dell'amore... Ben presto in tutta l'Europa l'assurdo dilemma che capi impazziti ponevano agli uomini -pretendendo di costringerli a scegliere tra il comunismo che voleva scacciare Dio e il fascismo che voleva asservirlo e irregimentarlo- corrompere la religione nelle anime, scristianizzare la Chiesa (vedi segreti di Fatima). La guerra è stata un tragico risveglio per gli uomini. Se le democrazie vinceranno la pace dopo aver vinto la guerra, sarà soltanto a condizione che l'ispirazione cristiana e l'ispirazione democratica si riconoscano e si riconcilino". Questo discorso è oggi di spaventosa attualità, anche se a distanza di cinquant'anni i problemi sono cambiati, ma le motivazioni che sottendono sono le stesse. La crisi irrisolvibile delle ormai pseudo democrazie che, scrollate dai principi religiosi, vivono il loro disfacimento in un crescendo precipitare morale e di conseguenza sociale ed economico. "Non si possono cambiare a piacere i nomi per i quali hanno sofferto e sperato intere generazioni di uomini. Non si tratta di trovare un nome nuovo per la democrazia, ma di scoprire la sua vera essenza e di realizzarla. Passare dalla democrazia borghese inaridita dall'ipocrisia e dalla mancanza di linfa evangelica a una democrazia integralmente umana, dalla democrazia fallita alla vera democrazia". Si può essere veri credenti, anche se si milita in un qualsiasi regime politico a condizione, tuttavia, che questo non sia contrario alla legge naturale e alla legge di Dio. Anche un regime monarchico può essere democratico se si accorda a questa filosofia e a questa conseguente concezione dell'uomo". Lo spirito cristiano e religioso dell'uomo oggi è minacciato insieme alla democrazia, che si va trasformando sempre più in anarchia. Al centro di questa prova dai contorni mondiali si deve formare un rinnovamento religioso dalla coscienza universale che l'Associazione Giustizia e Verità intende realizzare. E' necessario riportare la democrazia alla sua vera essenza, uscire da questo stato cronico di crisi, per purificarne i principi. Le forze in campo sono quelle di sempre: l'impero pagano che gioca il tutto per tutto per liquidare insieme sia il cristianesimo che la democrazia, attraverso il ritorno alla paura (ed alla perdita dello Stato di diritto reale) dove vincono le varie mafie economiche-politiche-consociative e dove trionfa sempre la legge del più forte contro il più debole, ovvero la sopraffazione dell'uomo bruto sull'uomo spirituale. Questo è oggi il trionfo del crimine e dell'immoralità, intere generazioni sono portate alla corruzione. Il medioevo aveva tentato di costruire sulla terra, attraverso il Sacro Romano Impero, una roccaforte di Dio. Molti poveri e oppressi sono sfiduciati ed atterriti, non osano più sperare, si vendono, si prostituiscono come possono. "Ora i poveri e gli oppressi si mettono in cammino verso una città di giustizia e di fratellanza. L'aver risvegliato e deluso simile speranza rivela l'entità del fallimento del mondo moderno. Ma sarebbe maggior fallimento rinunciare a questa speranza, e volerla sradicare dal cuore degli uomini". Quello che purtroppo temeva Maritain, oggi a distanza di cinquant'anni si sta tragicamente compiendo, la morte della speranza perché si è uccisa la fede. "La dura lezione ci ha insegnato che il regno di Dio non è fatto per la storia terrena; ma (personalmente non tiro le stesse conclusioni, ritengo infatti che sia possibile una realizzazione politica-storicizzata del Regno di Dio sulla terra) nello stesso tempo, tuttavia, ci siamo resi conto di una cruciale verità: che attraverso i dolori della storia terrena esso deve misteriosamente prepararsi". Il monoteismo ha annunciato agli uomini il regno di Dio, e la vita futura, ha insegnato loro l'unità del genere umano, l'uguaglianza naturale di tutti gli uomini, creature dello stesso Dio, tutte ugualmente stimate ed amate. Il monoteismo ha insegnato la dignità inalienabile di ogni anima creata ad immagine di Dio, la dignità del lavoro e la dignità dei poveri, la superiorità dei valori interiori su quelli esteriori, l'inviolabilità delle coscienze, l'attenta vigilanza della giustizia e della provvidenza di Dio sui grandi e sui piccoli, l'obbligo fatto a coloro che comandano di agire come rappresentanti di Dio e di amministrare i beni loro affidati per il vantaggio comune. La sottomissione verso la santità della Giustizia e della Verità per poter vivere nella libertà dei figli di Dio. La potenza dello Spirito, la comunione dei santi, la divina supremazia dell'amore che salva anche coloro che ci sono nemici (stravincendoli) nel trasformarli in carissimi amici. Il perdono diventa così un atto di intelligenza prima ancora che un atto di bontà. Tutti gli uomini, di qualunque gruppo sociale, a qualunque razza, a qualunque nazione, sono membri della famiglia di Dio e nostri fratelli adottivi. Cristo ha maledetto i ricchi e i farisei(ipocriti), ha promesso ai poveri, ai perseguitati per amore della giustizia che il regno dei cieli è loro, ai mansueti che erediteranno la terra, a coloro che piangono che saranno consolati, a coloro che hanno fame e sete di giustizia che saranno saziati, ai misericordiosi che troveranno misericordia, ai puri di cuore che vedranno Dio, ai pacifici che saranno chiamati figli di Dio. Ha dichiarato che tutto ciò che è fatto al più piccolo è fatto a Lui stesso, ha dato ai discepoli un nuovo comandamento di amarsi tra loro come egli stesso li ha amati. "Quali sono dunque i pensieri e le aspirazioni che il messaggio cristiano ha a poco a poco risvegliato nella profondità della coscienza dei popoli, e che hanno camminato per secoli sotto terra prima di manifestarsi nella democrazia e nell'idea stessa di civiltà? "Il progresso non tende a far ricuperare domani il paradiso attraverso la Rivoluzione, ma tende a trasformare in meglio le strutture della coscienza e della vita umana, e ciò avviene per tutta la durata della storia , fino all'avvento del regno di Dio, e della terra dei risorti, che è oltre la storia. Crediate o no in questo avvento, è verso esso che vi volgete se credete nella marcia in avanti dell'umanità. E' ciò appunto che in ogni caso è ammesso dalla coscienza profana, se essa non devia verso la barbarie, è la fede nella marcia in avanti della umanità. Grazie all'ispirazione evangelica, spesso misconosciuta ma pure attiva, la coscienza profana ha compreso la dignità della persona umana, e ha compreso che la persona, pur facendo parte dello Stato, trascende lo Stato per il mistero inviolabile della sua libertà spirituale e per la sua aspirazione a beni assoluti. La ragione d'essere dello Stato è nell'aiutarla nella conquista di quei beni spirituali e di una vita veramente umana. Ciò che è ammesso dalla coscienza profana, se essa non devia verso la barbarie, è la fede nei diritti della persona umana, in quanto persona umana, in quanto persona lavoratrice, ed è la fede nella giustizia come fondamento necessario della vita comune e proprietà essenziale della legge, che non è legge se è ingiusta. La sete di giustizia è stata scavata nell'anima dei secoli cristiani dal Vangelo, ed è proprio così che abbiamo imparato ad obbedire solo a ciò che è giusto. Il popolo è il corpo della comune umanità lentamente preparatosi e formatosi, il patrimonio vivo dei comuni doni e delle comuni promesse fatte alla creatura da Dio. Fatto cosciente di sé, grazie al procedere della civiltà, l'uomo della comune umanità sa oggi che la sua èra è venuta, se soltanto saprà trionfare della corruzione totalitaria, e non si lascerà divorare da essa; e che l'idea di una casta, di una classe o d'una razza costituita come padrona e dominatrice deve far posto all'idea di una comunità di uomini liberi, uguali nei diritti e uguali nella fatica, e a quella di un'elite dello spirito e del lavoro che procede dal popolo senza isolarsene, che sia veramente il fiore della sue energie vitali. Obbedire alle prescrizioni dell'autorità è un obbligo di coscienza, perché l'autorità ha in Dio la sua sorgente; ma per il fatto stesso che l'autorità ha la sua sorgente in Dio, non nell'uomo, nessun uomo e nessun gruppo speciale d'uomini ha per se stesso diritto di comandare sugli altri. Membri della stessa specie, tutti uguali d'avanti a Dio e davanti alla morte, è contrario alla natura che gli uomini siano semplici strumenti del potere politico, strumenti di un dittatore, sola persona di fronte a un gregge di schiavi organizzati, o strumento di un potere paternalistico, solo adulto di fronte ad un reggimento di fanciulli. Una volta che l'uomo della comune umanità ha compreso che egli nasce con il diritto di dirigere da se stesso la propria vita, in quanto responsabile dei propri atti d'avanti a Dio e davanti alla legge dello stato, come si può pretendere che il popolo obbedisca a coloro che governano (a meno che essi non abbiano ricevuto dal popolo stesso la cura del bene comune)? Grazie al lavoro oscuro dell'ispirazione evangelica, la coscienza profana ha compreso che il dominio politico e il carico di carne e sangue delle cose che sono di Cesare devono essere comunque sottoposti a Dio e alla Sua giustizia; ha compreso pure che l'arte di dominare e tutti i delitti a cui ricorrono i principi e i capi di stato per conquistare e consolidare il proprio potere, possono si conferire loro il potere, ma volgono fatalmente all'infelicità dei popoli. Il cristianesimo gettò la rete del Vangelo sopra l'Impero pagano e questo ne morì, poiché tra la legge evangelica del figlio di Dio e la legge dell'Impero che si fa Dio non esiste compromesso possibile. L'uomo, una volta compreso che la politica dipende in realtà dalla morale, poiché il suo scopo è il bene umano della comunità, una volta compreso che la vita politica deve formarsi al diritto naturale, e, secondo le condizioni proprie del suo oggetto temporale, alla legge evangelica stessa, si rende conto nello stesso tempo che volere la giustizia e il diritto in politica è volere una grande rivoluzione che sostituirà alla politica del potere dei padroni, siano essi uomini, Stati o nazioni, la politica del bene comune a cui deve vegliare il popolo stesso quale principale interessato. Una comunità di uomini liberi non può vivere se il diritto non è la sua unica base spirituale. Il machiavellismo e la politica di dominio, secondo cui la giustizia e il diritto sono mezzi sicuri per perdere ogni cosa, sono i naturali nemici di una comunità di uomini liberi. Dal momento che sappiamo di essere fatti per la beatitudine, non abbiamo più paura della morte, non possiamo rassegnarci all'oppressione e alla schiavitù dei nostri fratelli, e aspiriamo, anche per la stessa vita terrena, a uno stato d'emancipazione conforme alla sua dignità. Infine, grazie all'ispirazione evangelica operante nella storia, la coscienza profana ha compreso che nelle sventure e nei dolori della nostra esistenza, oppressa dalle leggi ferree delle necessità biologiche e dal fardello dell'orgoglio, dell'ingiustizia, della malvagità umana, un solo principio di pace può sollevare la massa di servitù e di iniquità e trionfarne, poiché questo principio discende in noi dalla fonte creatrice del mondo, più forte del mondo: l'amore fraterno la cui legge è stata promulgata dal Vangelo per lo scandalo dei potenti, e che, il cristiano lo sa bene, è la carità stessa di Dio diffusa nei cuori. Una volta gustata la freschezza di questa terribile speranza, il cuore umano resta turbato per sempre. Ma guai a noi se la disprezzassimo in se stessa e riuscissimo a togliere alla razza umana la speranza della fraternità. Questa speranza è santa in se stessa, e risponde ai desideri più profondi e più radicati nella natura umana; crea nelle anime una comunione di dolore e di rivolta con tutti gli oppressi ed i perseguitati; chiama l'eroismo, ed ha una forza divina tale da trasformare la storia dell'uomo. Ciò che è ammesso dalla coscienza profana, se essa non devia verso la barbarie, è la fede nella fratellanza umana, il senso del dovere sociale per cui l'uomo compatisce il debole. Il convincimento che il compito eccellente della politica è di rendere migliore e più fraterna la vita comune, e di far si che l'architettura di leggi, d'istruzione e di usanza di questa vita comune diventi una casa per tanti fratelli. (rielaborato: Maritain, Cristianesimo e democrazia Ed. di Comunità-Mi-1950)
In conseguenza della più assurda contraddizione storica, le concezioni cristiane, durante il XIX secolo e soprattutto in Europa, sono state incorporate in una sedicente filosofia dell'emancipazione del pensiero che le svuotava di ogni sostanza, le negava e le disgregava pretendendo di "spegnere le stelle" in nome della scienza, e riducendo l'uomo ad una scimmia senz'anima, punto d'arrivo di causali trasformazioni zoologiche. In se stesse, tuttavia, queste idee e queste aspirazioni restavano e sempre resteranno essenzialmente legate al messaggio cristiano e all'azione di stimolo segreto che esso esercita nelle profondità della coscienza profana e del mondo. Per questo motivo ho detto nelle pagine precedenti che la democrazia è sorta nella storia quale manifestazione temporale dell'ispirazione evangelica. Gli uomini di Stato ben lo sanno, e non è senza ragione che difendendo la democrazia essi oggi invocano il "Discorso della Montagna". Nel messaggio del 4 gennaio 1939, di cui si disse che "esso è un abbozzo di quella ricostruzione della filosofia morale che le democrazie dovranno intraprendere se vorranno sopravvivere", il Presidente Roosevelt insisteva sul fatto che nella democrazia, il rispetto della persona umana, la libertà, la buona fede internazionale hanno nella religione la loro più solida base e offrono alla religione la migliore delle garanzie. Egli affermava che "le Nazioni Unite vogliono lavorare all'instaurazione d'un ordine internazionale nel quale lo spirito di Cristo guiderà i cuori degli uomini e delle nazioni". In un importante discorso pronunciato l'8 maggio 1942, il Vice presidente degli Stati Uniti, Henry A. Wallace, dichiarava da parte sua: " L'idea di libertà deriva dalla Bibbia e dal suo straordinario insistere sulla dignità della persona. La democrazia è la sola vera espressione politica del cristianesimo". Chateaubriand, al termine della sua vita, aveva espresso lo stesso pensiero. Henri Bergson, nel libro Les Deux Sources de la Morale et de la Religion, affermava egli pure che, "essendo la fratellanza elemento fondamentale", secondo il motto repubblicano, si deve dedurre che "l'essenza della democrazia è evangelica". Per la sventura del mondo moderno e per confondere le idee, Rousseau e Kant la hanno rivestita delle loro forme sentimentali e filosofiche. Ma le origini dell'ideale democratico debbono essere ricercate parecchi secoli prima di loro. Lo stato d'animo democratico non solo deriva dalla ispirazione evangelica, ma non può sussistere senza questa. Per conservare la fede nel progresso dell'umanità, nonostante tutte le tentazioni che ci porterebbero a disperare dell'uomo, offerteci dalla storia, e particolarmente dalla storia contemporanea; per aver fede nella dignità della persona e nella comune umanità, nei diritti umani e nella giustizia, cioè in valori essenzialmente spirituali; per avere, non solo in teoria ma anche in pratica, la nozione ed il rispetto della dignità del popolo,... per credere alla santità del diritto e alla virtù sicura (ma a lunga scadenza della giustizia politica), di fronte ai trionfi scandalosi della menzogna e della violenza; per avere fede nella libertà e nella fratellanza, per tutto ciò sono necessarie un'ispirazione eroica e una fede eroica che fortifichino e vivifichino la ragione . Consideriamo inoltre l'immenso fardello d'animalità, d’egoismo e di barbarie latente che gli uomini portano in loro, e per cui la vita sociale è ancora terribilmente lontana dai suoi fini più veri e più alti; teniamo conto del fatto che la parte dell'istinto e delle forze irrazionali è ancora più grande nell'esistenza collettiva che in quella individuale, e che nel momento in cui il popolo entra nella storia rivendicando la sua maggiore età politica e sociale, larghi strati d'umanità sono ancora in stato d'immaturità o soffrono di complessi morbosi accumulatisi nel corso del tempo, sono ancora soltanto l'embrione o il primo abbozzo di quel frutto della civiltà che chiamiamo un popolo... La democrazia deve avere anche un ruolo sussidiario di protezione contro possibili ritorsioni dell'istinto di dominio, di sfruttamento o d’egoismo anarchico; e soprattutto comprenderemo che, se si vuol diminuire e eliminare a poco a poco queste funzioni sussidiarie della forza, la democrazia ha più che mai bisogno del lievito evangelico per realizzarsi e per sussistere e per sottomettere l'irrazionale alla ragione, per compenetrare l'esistenza profana e s'incorpori al dinamismo vitale delle tendenze e degli istinti della natura per formare e fissare nelle profondità dell'inconscio i riflessi, le consuetudini e le virtù senza le quali l'intelligenza che dirige l'azione oscilla ad ogni vento e l'egoismo distruttore prevale sull'uomo. Ma ciò che voglio dire è che senza la bontà, l'amore e la carità, quel che vi è di migliore in noi -e la stessa fede divina, ma ancor più le passioni e la ragione- diventa nelle nostre mani uno strumento di sventura; e che una retta esperienza politica può svilupparsi nei popoli solo a condizione che passioni e ragione siano alimentate da un solido fondo di virtù collettive, dalla fede, dall'onore e dalla sete di giustizia; e che senza l'istinto evangelico ed il potenziale spirituale di un cristianesimo operante, il giudizio politico e la esperienza politica mal si difendono dalle illusioni dell'egoismo e della paura; che senza il coraggio, la comprensione per l'uomo e lo spirito di sacrificio, non si può concepire la marcia, in ogni istante ostacolata, verso un ideale di generosità e di fratellanza. Come Bergson ha dimostrato nelle sue profonde analisi, è stato lo slancio di un amore infinitamente più forte della filantropia dei filosofi in quanto esso è la manifestazione in noi dell'amore creatore degli esseri e rende veramente ogni essere umano nostro fratello. Senza spezzare i vincoli di carne e di sangue, d'interesse, di tradizione e di fierezza, necessari al corpo politico, e senza distruggere le leggi severe della sua esistenza e della sua conservazione, un tale amore esteso a tutti gli uomini, trascende e contemporaneamente trasforma dall'interno la vita politica del gruppo, e tende a riunire l'intera umanità in una comunità di nazioni e di popoli in cui gli uomini siano riconciliati. Dio vuole che la comunione si diffonda e si rifranga al di fuori dei limiti del Suo regno, sotto forme imperfette, in quell'universo di conflitti, di malizia e di amara fatica che è il dominio temporale. Bergson scrive: "la democrazia è di essenza evangelica e ha l'amore come motivo determinante. Da ciò appare evidente che l'ideale democratico va in direzione opposta alla natura, la cui legge non è l'amore evangelico. La democrazia è un paradosso e una sfida alla natura, alla natura umana ingrata e ferita, dalle cui aspirazioni originali e risorse di grandezza essa però attinge. Il suo progredire è legato alla spiritualizzazione dell'esistenza profana. Questo idealismo sarà in continuo pericolo se la sua sorgente non sarà posta abbastanza in alto; e se dimenticherà le dure realtà naturali in mezzo alle quali deve lavorare, perché, in questo caso, esso non oserà affrontare l'esistenza e la potenza del male, non sentendosi abbastanza forte da vincerle. Ma se saprà veramente che cos'è la dignità e la vocazione dell'uomo, se sarà cosciente della potenza della verità e della potenza dell'amore, se rispetterà l'anima conoscendone la grandezza, se porrà le attività dello spirito e della libertà alla sommità della scala dei valori, se saprà che la ricerca della felicità è misteriosamente legata al sacrificio di se stessi, perché essa è innanzitutto la ricerca del compimento dell'essere umano nell'amore, e perché i beni materiali e l'abbondanza della vita comune sono da desiderare innanzitutto in quanto condizione e mezzo ad un tal fine: allora soltanto potrà affrontare la ferocia delle leggi, della natura materiale, la debolezza e la perversità dell'uomo e la realtà del male nel mondo, perché si sarà reso conto che nell'uomo e al di sopra dell'uomo c'è qualcosa capace di superare tutto questo. Prove che potranno essere superate in mezzo a molte imparità e manchevolezze, ed è proprio per questo che dobbiamo con maggior forza volerle superare." La filosofia democratica vive dell'incessante lavoro d'invenzione, di critica e di rivendicazione della coscienza individuale -e ne vive e ne morrebbe se essa non vivesse anche dell'incessante dono di sé che deve accompagnarvisi- in contrasto con la naturale tendenza dell'immaginazione umana, essa si oppone a che i dirigenti si ritengano e vengano ritenuti una razza superiore; e vuole tuttavia che la loro autorità sia rispettata, su base giuridica. L'errore del liberalismo individualistico era stato di negare per principio, col pretesto che ciascuno deve obbedire solo a se stesso, 1.-ogni diritto di comando agli eletti del popolo. Un altro errore era di ridurre 2.-la comunità ad un pulviscolo di individui di fronte ad uno stato onnipotente nel quale si presumeva che la volontà di ognuno si annientasse e resuscitasse misticamente sotto forma di volontà generale, 3.-di escludere l'esistenza e l'autonomia, l'iniziativa e i diritti propri di ogni gruppo o comunità di rango inferiore a quello dello stato, e infine 4.-di sopprimere perfino la nozione di bene comune e di opera comune. Questi concetti hanno preparato il totalitarismo, così come lo hanno preparato la condiscendenza alla mediocrità e l'egemonia dei partiti, elementi che non sono essenziali alla democrazia, ma che sono piuttosto la tentazione permanente di ogni democrazia senza vigore spirituale. Liberandosi da questi errori, una democrazia nuova potrà ritornare ai principi autentici della filosofia democratica. L'operazione interessa, in profondità, tutte le strutture della civiltà, in estensione il mondo intero. "Una volta abbattuto l'Impero pagano, la sua putredine fatta di 1.-nichilismo morale, 2.-di brutalità sadica e 3.-di idee da delirio non sarà spezzata d'un sol colpo, né 4.-gli odi implacabili che esso avrà risvegliato, né 5.-le grandi illusioni vergognose che i suoi servi in fuga avranno abbandonato su tutte le strade. Bisognerà anche affrontare 6.- i vecchi interessi e i vecchi privilegi economici, decisi dovunque alla difesa più accanita, le vecchie ambizioni ed 7.-i vecchi errori smaniosi di pungere ancora da parassiti delle democrazie, e, inoltre, i nuovi pericoli originati dall'irrigidimento degli 8.-istituti nazionalistici e dalle cieche rivendicazioni di prestigio, o dal 9.-desiderio di utilizzare le sventure degli uomini per una cuccagna di profitti, 10.-per l'egemonia del grande commercio o delle chimere degli ignoranti che vorrebbero organizzare razionalmente l'universo senza rendersi conto che l'uomo ha un'anima. Di fronte ad una civiltà da ricostruire, a un nuovo ordine internazionale da instaurare e che sarà creata soltanto se prevarrà il senso della responsabilità morale verso le popolazioni, nel rispetto della loro anima e dei loro desideri, e di una vera solidarietà umana, di fronte a tutto questo l'intelligenza dei migliori architetti è insufficiente". Lasciamo cadere molti pregiudizi e molte cattive volontà, per un nuovo impulso politico e spirituale. (rielaborato da: Maritain, Cristianesimo e democrazia Ed. di Comunità - Milano 1950)
"I ministri di Dio hanno perso la santità, preghiamo, preghiamo per la loro santità". (DOMENICA 28 APRILE -4° DOMENICA DI PASQUA: IL BUON PASTORE don Vito Raimondo - Radio Speranza ore 8:30.Palo del Colle -BA-) "In tutte le nazioni oggi prostrate, le classi dirigenti hanno fatto moralmente bancarotta. Il fallimento del nostro mondo è il loro fallimento. E' venuto il momento di far appello alle riserve morali e spirituali del popolo, della comune umanità, -le ultime riserve della civiltà prima di un nuovo olocausto- per la vittoria e per la ricostruzione. Queste riserve morali e spirituali non sono uno strumento nelle mani dei detentori dell'autorità; sono il potere stesso e la fonte di iniziativa, di uomini coscienti della loro dignità personale e della loro responsabilità. Hanno strumentalizzato la parola popolo come ogni altra parola del linguaggio. Il popolo non è quella massa di materia umana spersonalizzata e fusa in una sola entità fisica, ne una energia spirituale delle potenze della terra, quale l'ha immaginata l'abominevole mitologia razzistica, (e che essi tentano di realizzare a forza di asservimento, e nel nome della quale commettono tutti i loro delitti). Il popolo, essi lo odiano, lo disprezzano e lo temono; non vogliono soltanto opprimerlo ma cancellare dalla faccia della terra la sua stessa realtà. Popolo vuol dire anime, vuol dire persone umane unite dai comuni doveri umani e dalla coscienza comune del lavoro che ciascuno deve compiere per avere il proprio posto al sole con la famiglia e gli amici. Da una lunga esperienza di pene e di gioie di una vita senza gloria, da un comune patrimonio di ereditaria saggezza accumulata nello spirito di gente operosa, da sentimenti e tradizioni umane, armonia di volontà, di ragione e di libertà. Quello che io chiamo uomo della comune umanità non è il buon selvaggio né l'uomo astratto, l'individuo solitario privo di qualsiasi patrimonio sociale. Se qualche cosa corrisponde a quest'idea nell'esistenza concreta, sono certo quei rifiuti sociali che costituiscono gli strati più instabili e più miseri del proletariato, o delle classi in processo di proletarizzazione. Non è in questo uomo che ripongo la mia fiducia, poiché è esso che fornisce ai dittatori le loro truppe e i loro carnefici. Quello che o chiamo uomo dell'umanità comune, l'uomo in cui io ripongo la mia fiducia, e la grande moltitudine di coloro che, impegnati nelle strutture morali e sociali, per umili che siano, dell'esistenza civile, e dei raggruppamenti in cui si desta la coscienza collettiva, assolvono compiti comuni, la grande opera elementare e anonima della vita umana e non sono tentati di credersi una razza superiore, perché il loro lavoro è anonimo e perché essi appartengono proprio a quel popolo di cui ho parlato or ora, il popolo comune. Non condivido l'ottimismo romantico che attribuiva al popolo un giudizio sempre giusto e istinti sempre retti; so anche che esso ha bisogno di essere organizzato per potersi esprimere e agire. Ma affermo che il tragico sofisma dei reazionari consiste nel confondere il comportamento di un popolo libero, che agisce nell'ambito delle sue legittime istituzioni, con la violenza sanguinaria delle folle accecate dalle passioni collettive, di quelle passioni collettive che la propaganda totalitaria fomenta diabolicamente. L'uomo dell'umanità comune è meno tentato delle sedicenti élites di persone bene informate, e competenti, e ricche e bennate, e altamente istruite o altamente scaltrite, che si sono staccate dal popolo e la cui imbecillità politica, bassezza d'animo corruzione stupiscono il mondo. Affermo che l'élite ispiratrice di cui il popolo ha bisogno deve sempre vivere in comunione con questo stesso popolo, che offre infaticabilmente il suo lavoro ed il suo sangue. Ora, si voglia o no, bisognerà bene che come conseguenza di un postulato essenziale del pensiero democratico, sorgano dalle profondità delle nazioni; esse saranno costituite da élites operaie e rurali unitamente ad elementi delle classi un tempo dirigenti che si saranno decise a lavorare col popolo. Il problema essenziale della ricostruzione non è un problema di pianificazione, è un problema di uomini, il problema delle future élite dirigenti. Non è certo pretendendo di autoreclutarsi che esse si qualificherebbero. Possano esse venir designate dall'eroismo e dall'abnegazione! Le nuove guide e le nuove istituzioni sorgeranno dalla comune esperienza e fede di tutti coloro che non hanno disperato del popolo e della patria, e saranno il risultato del processo di selezione e di preparazione umana che questi anni lugubri avranno operato. Il lavoro da compiersi per il rinnovamento delle strutture, richiedono innanzi tutto un ritorno alla semplicità di considerazione (Riduzione, semplificazione ed efficacia immediata delle norme). Una volta trovata la giusta prospettiva con un semplice moto del cuore, con una semplice intuizione dell'intelligenza, il resto è questione di buon senso e di coraggio, di esperienza e di bontà. Tutto dipende dalle nuove élites, ed è proprio di esse che il mondo ha disperatamente bisogno.
Mentre vedo nel nazismo l'ultima tappa di una reazione implacabile contro il principio democratico e contro il principio cristiano, vedo nel comunismo l'ultima tappa della distruzione interna del principio democratico dovuta al rinnegamento del principio cristiano. La sua dottrina non si può riformare ed è logicamente legata all'ateismo. Il comunismo è una filosofia deviata fondata sulla negazione coerente e assoluta della trascendente divina, un'ascesi e una mistica del materialismo rivoluzionario integrale. Pio XI, raccomandava ai cristiani piangendo di dolore e di compassione. Diceva egli ai vescovi di Francia, nel dicembre 1937: "Si parla molto ai cattolici di Francia della mano tesa... Possiamo noi prenderla questa mano che ci è tesa? Vorrei che fosse così: non si rifiuta una mano tesa, purché ciò non sia a detrimento della verità. La verità è Dio e Dio non può essere sacrificato. Ora, coloro che parlano di mano tesa non si spiegano chiaramente in proposito. Ci sono, nel loro linguaggio, confusioni e oscurità che bisognerebbe dissipare". “La predicazione della verità non ha procurato a Cristo molte conquiste: essa l'ha condotto alla croce. E' con la carità che Egli guadagnava le anime e le trascinava al suo seguito. Voi convertirete quelli che sono sedotti dalle dottrine comuniste, dimostrando loro che la fede in Cristo ispirano abnegazione e bontà, dimostrando che non è possibile trovare altrove un'uguale sorgente di carità”. Ciò che il Papa raccomandava nel campo religioso vale anche in quello civile, ma sarà possibile solo se la carità di cui egli parlava arderà veramente nei cuori. Bisogna fare la propria scelta, bisogna rischiare tutto sull'odio, o sulla viltà, o sull'amore. (Maritain, Cristianesimo e democrazia Ed. di Comunità - Milano 1950)
La vera guerra, quella contro la confusione e l’anarchia sarà realmente vinta quando l'abbozzo concreto di un nuovo mondo spirituale e sociale si profilerà nella storia. Se la forza del suo istinto politico e del suo spirito rinnovandosi durante la oscura notte sarà pari alla violenza del suo disgusto e della sua collera, esso potrà trovare e scoprire le cose nuove di cui ha bisogno. Riconquistiamo l'integrità morale e restituiamo alla loro vocazione storica le nazioni per una testimonianza di portata universale e per una rinnovata missione spirituale e morale. Non ho l'ingenuità di credere che tutto questo sarà facilmente realizzato, tuttavia le ragioni che alimentano la speranza esistono. La necessità di una radicale trasformazione del regime economico e sociale è riconosciuta dovunque, mentre nello stesso tempo nasce una nuova mistica repubblicana, un desiderio di semplicità in una comune vita di lavoro, e una volontà responsabile di liberazione reale della persona e dei gruppi in cui essa è impegnata. "La giovinezza(purezza) cattolica milita intrepida per la libertà; essa vuole una società vitalmente, realmente, e non decorativamente cristiana, senza l'ombra di quel clericalismo che la Chiesa disapprova e di cui non vogliamo assolutamente sentir parlare". Come disse qualche mese fa l'arcivescovo di Tolosa, l'opinione pubblica ha compreso che per sfuggire all'ignobile leggerezza e all'indegna debolezza dei politicanti, non tutti uomini malvagi, ma la cui vita interiore non era che polvere, bisogna esigere nei capi la consistenza morale, la forza di chi agisce secondo un principio, e non soltanto l'onestà ma anche la virtù. Se è vero che lo Stato dovrà controllare molte cose, è vero anche che abbiamo imparato ad avere orrore della tirannia statale. Lo spirito che dirigerà l'opera di rinnovamento tenderà verso forme di vita politica e sociale nelle quali un pluralismo organico metterà fine nella nazione all'onnipotenza dello Stato, mentre le istituzioni che fanno prevalere la cooperazione, in Europa e nel mondo, metteranno fine, nella comunità dei popoli, alla sovranità assoluta degli Stati nazionali. Vi è una cosa che il mondo sa bene, anche troppo bene; è il significato tragico della vita. Da mille dolorosi anni essa ha la missione di scoprire un po di più che cos'è l'uomo e a quale prezzo si compie il più piccolo progresso. L'esperienza che ha acquistato è un tesoro di lacrime, e gli fa correre il rischio terribile dello scetticismo. Ma il senso tragico della vita apre al senso dell'eroismo che solo può superare la tragedia. Vi è una cosa che l'America sa bene, e che essa insegna come una grande e preziosa lezione a coloro che prendono contatto con la sua stupefacente avventura; è il valore e la dignità dell'uomo della comune umanità, il valore e la dignità del popolo. La dignità di ciascuno nell'esistenza di ogni giorno è la forza della civiltà americana. L'America sa che l'uomo della comune umanità ha diritto a perseguire la felicità: formula che, ben compresa, significa la ricerca delle condizioni elementari e dei beni elementari che sono i presupposti di una vita libera, e la cui mancanza, sofferta da intere moltitudini è un'atroce ferita al fianco dell'umanità, 1- la ricerca dei beni superiori della cultura e dello spirito, 2- la ricerca della liberazione dalla miseria, dal timore e dalla servitù, 3- la ricerca di quella libertà e di quella pienezza umana legata alla padronanza di sé, che nell'ordine imperfetto della vita temporale è la meta più alta della civiltà, e che, in un ordine superiore, chiede di realizzarsi perfettamente attraverso la trasformazione spirituale dell'essere umano, e che l'uomo non può conquistare, se non con molto amore e con l'incessante dono di sé. L'eroismo è qui richiesto, non per superare una tragedia, ma per condurre a buon fine un'avventura formidabile, iniziatasi per questo paese al tempo dei Pilgrim Fathers e dei pionieri, e nei giorni gloriosi della dichiarazione d'indipendenza e della guerra d'indipendenza. Chiamare tutti gli uomini alla ricerca di una tale felicità, a condizione che essi la pongano abbastanza in alto e sappiano quel che essa costa, è intraprendere la più grande delle rivoluzioni temporali. Tutto questo ha un significato solo se l'appello alla ricerca della felicità è contemporaneamente un appello all'eroismo. Abbiamo il diritto di fare appello all'eroismo dell'uomo comune, non per un dispendio di eroismo collettivo, ma perché tutti accettino un ideale di vita eroico. La prova, sublime o mostruosa che sia, l'abbiamo oggi sotto gli occhi. Milioni di uomini accettano di morire per una causa giusta o ingiusta, per un ideale nobile o per un ideale abietto, al quale hanno dato il cuore e al quale sacrificano ciò che hanno di più caro. Soltanto in parte sono costretti a ciò dal terrore o dalle leggi senza pietà della disciplina militare o della disciplina civile. Per affrontare tutto ciò è stato necessario che sorgenti sgorgassero dal più profondo del loro essere, sorgenti di generosità che conferiscono al bene uno splendore più forte e al male un colore umano. E' dunque impossibile dirigere queste immense riserve di coraggio e di forza di resistenza, e d'oscuro spirito di sacrificio, verso un'aspra e difficile opera di edificazione umana e di fratellanza? Poiché in ogni caso bisogna dare la propria vita, è meglio darla per i propri fratelli che riservarla al massacro. Se la vita comune a cui partecipo è fondata sull'ingiustizia, un giorno o l'altro bisognerà che sopporti con coraggio che le “belve” sbraniamo me e i miei figli. Se essa è tesa verso la giustizia, dovrò forse dare il mio sangue e il resto per la causa della giustizia, ma almeno avrò la speranza che i miei figli saranno felici, ed anche coraggiosi. E' meglio fiaccarsi per raggiungere il bene che essere fiaccati dal male. Queste sono verità semplicissime, e verrà un tempo in cui esse saranno comprese dalla coscienza comune. Non si tratta di esigere che tutti gli uomini siano pronti al martirio, per tutta la vita. Dalle nuove élites, si, dagli uomini che svolgeranno per i popoli moderni una missione analoga a quella degli antichi ordini cristiani che riscattano i prigionieri e difendono la vedova e l'orfano, all'occorrenza, da quelli si esigerà che siano martiri della giustizia e dell'amicizia fraterna. Ma è assurdo esigere dalle moltitudini un eroismo costante. Le moltitudini conoscono il duro lavoro e il coraggio quotidiano, li conoscono da secoli. Ciò che si chiede loro è che in una comunità civile in cui la disciplina sociale sarà senza dubbio severa, questo duro lavoro e questo coraggio quotidiano siano impiegati a rendere migliore e più degna la vita stessa delle moltitudini, e che il clima della vita comune sia un clima di speranza eroica, e che la generosità sia la sua forza ispiratrice. Dipende dallo sforzo supremo della libertà umana, nella lotta mortale in cui oggi è impegnata, che l'era in cui stiamo per entrare non sia l'era delle masse e delle moltitudini informi, nutrite, asservite e condotte al macello da semidei infami, ma l'era del popolo e dell'uomo della comune umanità, -cittadino e coerede della comunità civile- cosciente della dignità della persona umana che è in lui, costruttore di un mondo più umano, proteso verso un ideale storico di fratellanza umana. Per raggiungere questo, è necessario che il senso del tragico della vita e il senso della grande avventura umana si incontrino e si completino scambievolmente, che lo spirito dell'Europa e lo spirito dell'America cooperino in un'unica volontà: (porti all'unità il mondo). Non crediamo che questo paradiso sarà realizzato domani. Ma l'opera alla quale siamo chiamati, l'opera che dovremo compiere, con coraggio speranza tanto più grandi se consideriamo che ad ogni istante sarà tradita dalla debolezza umana, dovrà avere per obbiettivo, se vogliamo che la civiltà sopravviva, un mondo di uomini liberi, la cui sostanza profana sia penetrata da un cristianesimo vivo e reale, un mondo in cui l'ispirazione evangelica orienti la vita comune verso un umanesimo eroico. (rielaborato da: Maritain, Cristianesimo e democrazia Ed. di Comunità - Milano 1950)
LA SOCIETÀ DELLE PERSONE UMANE. Questo libro è un saggio di filosofia politica, in un momento in cui sono in gioco le sorti della civiltà. La questione fondamentale della filosofia politica è quella che concerne le relazioni tra la persona e la società, e i diritti della persona umana.
Due aspetti metafisici: individualità e personalità sono distinti e creano, in ciascuno di noi, due attrazioni l'una con l'altra in conflitto. (Cf. Du Regime Temporel et de la Liberté, e il capitolo " The Human Person and Society" in Scholasticism and Politics) Tuttavia è indispensabile mettere in luce la nozione di persona, per caratterizzare brevemente le relazioni tra la persona umana e la società. L'umana personalità è un grande mistero che risiede in ciascuno di noi. Sappiamo che tratto essenziale di una civiltà che meriti questo nome, è il senso e il rispetto della dignità della persona umana, sappiamo che per difendere i diritti della persona umana, come per difendere la libertà, conviene esser pronti a dare la propria vita. Qual'è dunque -per meritare un tale sacrificio- il valore racchiuso nella personalità dell'uomo? Quando diciamo che un uomo è una persona, vogliamo dire che egli non è solamente un pezzo di materia, un elemento individuale nella natura, così come sono elementi individuali nella natura un atomo o un elefante. Dove è la libertà, la dignità, dove sono i diritti individuali? L'uomo è un individuo che si guida da sé mediante l'intelligenza e la volontà; esiste non soltanto fisicamente, c'è in lui un esistere più ricco e più elevato, una sopraesistenza spirituale nella conoscenza e nell'amore. E' così, in qualche modo, un tutto, e non soltanto in parte, un universo a sé. Mediante l'amore può darsi liberamente ad altri esseri che per lui sono come altri se stesso, relazione questa, di cui non è possibile trovare l'equivalente in tutto l'universo fisico. In termini filosofici ciò vuol dire che nella carne e nelle ossa umane c'è un'anima, che è uno spirito e che vale più che l'intero universo materiale. La persona umana, per dipendente che sia dalla materia, esiste per l'esistenza della sua anima che domina il tempo e la morte. E' lo spirito che è la radice della personalità. La nozione di personalità implica così quella di totalità e di indipendenza; per povera ed oppressa ch'essa possa essere, una persona è, come tale, un tutto e, in quanto persona, sussiste in maniera indipendente. E' questo il mistero della nostra natura che il pensiero religioso designa quando dice che la persona umana è l'immagine di Dio. Il valore della persona, la sua libertà, i suoi diritti, dipendono dall'ordine delle cose naturalmente sacre che portano l'impronta del Padre degli esseri e che hanno in lui il termine del loro movimento. La persona umana ha una dignità assoluta perché è in una relazione diretta con l'assoluto nel quale solo può trovare il suo pieno compimento; sua patria spirituale è tutto l'universo dei beni aventi valore assoluto, che riflettono in qualche modo un Assoluto superiore al mondo e che la attraggono a lui. Non dimentico che uomini, stranieri alla filosofia cristiana, possono avere un senso profondo ed autentico della persona umana e della sua dignità, e a volte mostrare anche nella loro condotta un rispetto pratico di tale dignità che ben pochi saprebbero eguagliare. Questa descrizione non è monopolio della filosofia cristiana (benché la filosofia cristiana la porti a un punto di compiutezza superiore). Essa è comune a tutte le filosofie che, in una maniera o nell'altra, riconoscono l'esistenza di un Assoluto superiore all'ordine intero dell'universo, e il valore sopratemporale dell'anima umana. (Maritain, Cristianesimo e democrazia Ed. di Comunità - Milano 1950)
La persona tende per natura alla vita sociale e alla comunione. Così è non solo a causa della necessità, ma anche a causa della generosità insita nella persona, a causa di quella attitudine alle comunicazioni dell'intelligenza e dell'amore, propria dello spirito, che esige di mettersi in relazione con altre persone. Parlando in senso assoluto, la persona umana non può essere sola.
Ciò che essa sa, vuol dirlo; vuol dire di sé: a chi se non ad altre persone? Si può, con Rousseau, dire che il respiro dell'uomo è mortale all'uomo; e con Seneca, "ogni volta che sono andato tra gli uomini, ne son ritornato un uomo diminuito". Ciò è vero, e tuttavia, per un paradosso fondamentale, noi non possiamo essere uomini e divenire uomini senza andare in mezzo agli uomini; non possiamo accrescere in noi la vita e l'attività senza respirare coi nostri simili. Così la società si forma come cosa che la natura esige e (poiché questa è la natura umana) come un'opera compiuta da un lavoro di ragione e di volontà e liberamente consentita. L'uomo è un animale politico! La società è civile in quanto è umana. Essa è un tutto di tutti, poiché, come tale, la persona è un tutto. Un tutto di libertà poiché, come tale, la persona significa dominio di sé o indipendenza (non dico indipendenza assoluta, che è la caratteristica di Dio). La società è un tutto in cui le parti sono ciascuna un tutto; un organismo fatto di libertà, non di semplici cellule vegetative. Ha un suo proprio bene, una sua propria opera da compiere, distinti dal bene e dall'opera degli individui che la compongono. Ma questo bene e quest'opera sono e devono essere essenzialmente umani, e per conseguenza si pervertono se non contribuiscono allo sviluppo e al miglioramento delle persone umane.
Niente anarchia e niente statalismo. Il fine della società è il bene comune, il bene del corpo sociale. La vecchia concezione anarchica mascherata di materialismo borghese secondo cui tutto l'ufficio della civitas è di vegliare sul rispetto della libertà di ciascuno, ufficio mediante il quale i forti opprimono liberamente i deboli. Il bene comune è il fondamento dell'autorità, perché, bisogna che alcuni s'incarichino di prendere delle decisioni come espressione ed interpretazione della volontà comune, per il bene comune. Il bene comune domanda lo sviluppo delle virtù nella massa dei cittadini, è per questo che ogni atto politico ingiusto e immorale è per se stesso ingiurioso del bene comune e politicamente cattivo. Una legge ingiusta, quindi non è una legge. (Maritain, Cristianesimo e democrazia Ed. di Comunità - Milano 1950)
Il tutto come tale vale meglio delle parti: è un principio che Aristotele si compiaceva di sottolineare e che ogni filosofia più o meno anarchica si compiace di disconoscere. C'è un altro principio che il cristianesimo ha messo in luce e che ogni filosofia politica assolutistica e totalitaria rigetta nell'ombra. Veramente se la società umana fosse una società di pure persone, il bene della società e il bene di ciascuna persona non sarebbero che un solo e medesimo bene. Ma l'uomo è assai lungi dall'essere una pura persona; la persona umana è quella di un povero individuo materiale, di un animale che nasce più sprovvisto di tutti gli altri animali. Se la persona come tale è un tutto indipendente e quel che vi è di più elevato in tutta la natura, la persona umana è il più basso scalino di personalità, è spoglia di tutto e miserabile; è una persona povera e piena di bisogni. Così si trova protetta dalla società, tuttavia in relazione con l'assoluto e secondo che è chiamata ad una vita e a un destino superiori al tempo; in altri termini, secondo le esigenze più elevate della personalità come tale - la persona umana oltrepassa tutte le società temporali ed è superiore a queste. Una sola anima umana vale più che l'universo intero dei corpi e dei beni materiali. Non vi è nulla al di sopra dell'anima umana - se non Dio. Riguardo al valore eterno ed alla dignità assoluta dell'anima, la società esiste per ogni persona ed è subordinata a questa. "L'uomo e il gruppo sono dunque avviluppati l'uno nell'altro, e si superano l'un l'altro secondo differenti rapporti. L'uomo trova se stesso subordinandosi al gruppo e questo non persegue il suo fine se non servendo l'uomo e sapendo che l'uomo ha dei segreti i quali sfuggono al gruppo e una vocazione che nel gruppo non si contiene. Il fine ultimo delle persone non è la società, ma Dio. Così la persona reclama la società e tende sempre a sorpassarla finché entra nella società di Dio. Al di sopra della società civile la persona entra, varcando la soglia di un regno che non è di questo mondo, in una società sopranazionale, soprarazziale, sopratemporale, che richiama la Chiesa, e che concerne le cose che sono di Cesare.
La società degli uomini liberi è: Personalistica, Comunitaria, Pluralistica e Teistica.
Per la libertà spirituale, per l'arricchimento della comunione, nel rispetto delle identità e delle culture, come delle autonomie locali ed infine fondare in maniera trascendente le esigenze di Giustizia e di Verità, di concordia e solidarietà di cui necessitano tutti gli uomini. " Coloro che non credono in Dio o non professano il cristianesimo, se tuttavia credono alla dignità della persona umana, alla giustizia, alla libertà, all'amore del prossimo, possono essi pure cooperare al bene comune, anche se non sanno risalire fino ai primi principi delle loro convinzioni pratiche, o se cercano di fondarle su principi insufficienti. In tale concezione la società civile è organicamente legata alla religione e non fa che volgersi coscientemente verso la fonte del suo essere invocando l'assistenza divina e il nome divino secondo che i suoi membri lo conoscono. La società civile deve cooperare con la religione, non per nessuna specie di teocrazia o di clericalismo, né esercitando alcuna pressione in materia religiosa, ma rispettando e facilitando - sulla base dei diritti e delle libertà di ciascuno - l'attività spirituale delle diverse famiglie religiose che si trovano di fatto raggruppate nel seno della comunità temporale. (Maritain, Cristianesimo e democrazia Ed. di Comunità - Milano 1950)
Personalistica, Comunitaria, Pluralistica e Teistica.
Per la libertà spirituale, per l'arricchimento della comunione, nel rispetto delle identità e delle culture, come delle autonomie locali ed infine fondare in maniera trascendente le esigenze di Giustizia e di Verità, di concordia e solidarietà di cui necessitano tutti gli uomini. " Coloro che non credono in Dio o non professano il cristianesimo, se tuttavia credono alla dignità della persona umana, alla giustizia, alla libertà, all'amore del prossimo, possono essi pure cooperare al bene comune, anche se non sanno risalire fino ai primi principi delle loro convinzioni pratiche, o se cercano di fondarle su principi insufficienti. In tale concezione la società civile è organicamente legata alla religione e non fa che volgersi coscientemente verso la fonte del suo essere invocando l'assistenza divina e il nome divino secondo che i suoi membri lo conoscono. La società civile deve cooperare con la religione, non per nessuna specie di teocrazia o di clericalismo, né esercitando alcuna pressione in materia religiosa, ma rispettando e facilitando - sulla base dei diritti e delle libertà di ciascuno - l'attività spirituale delle diverse famiglie religiose che si trovano di fatto raggruppate nel seno della comunità temporale. (Maritain, Cristianesimo e democrazia Ed. di Comunità - Milano 1950)
Nella società di tipo individualistico borghese non vi è alcuna opera comune da fare, e non vi è nemmeno comunione. Ciascuno domanda soltanto allo Stato di proteggere la sua libertà individuale e di reprimere le eventuali usurpazioni della libertà da parte altrui. Nella comunità di tipo raziale non v'è più un oggetto dell'opera da compiere in comune, ma al contrario, vi è una passione di comunione, vi è il piacere soggettivo di essere insieme o di zusammenmarschieren. La nozione germanica di comunità riposa sulla nostalgia di essere insieme, sul bisogno affettivo della comunione per se stessa. Non essendo definita da una opera da compiere essa non potrà definirsi che per mezzo della sua opposizione ad altri gruppi umani; essa avrà bisogno essenzialmente di un nemico contro il quale dovrà andare; solo così potrà realizzare la propria coscienza comune: il dominio politico sugli altri uomini. Nella concezione totalitaria-comunistica l'opera essenziale è il dominio industriale della natura. In queste concezione la persona umana è sacrificata.
In una conferenza scientifica tenutasi a Pechino dal celebre paleontologo Teilhard de Chardin; egli nota che "l'Umanità, per vecchia che ai nostri occhi sembri farla la preistoria, è ancora molto giovane", ed egli mostra che la evoluzione dell'Umanità deve essere prevista come la continuazione della evoluzione della vita intera, in cui progresso significa ascesa della coscienza e dove la ascesa della coscienza è legata ad un grado superiore di organizzazione. "Il Progresso, se deve continuare, non si farà da solo; l'Evoluzione, per mezzo del meccanismo stesso delle sue sintesi, si preoccupa sempre più della libertà". Uno sguardo più vasto, che abbracci tutta la storia dell'umanità, ci fa comprendere l'inarrestabile progresso sociale e la sua evoluzione verso una comunità umana sempre più civilizzata. E' inevitabile l'unificazione progressiva del genere umano, impossibile con la coercizione, fattibile solo con l'amore. In definitiva, è nella attrazione comune esercitata da un centro trascendente, che è Spirito e Persona, e nel quale gli uomini possono realmente amarsi gli uni gli altri, che lo sviluppo della umanità così animato e sollevato nell'ordine stesso della storia temporale, trova la sua legge suprema. E' triste vedere uomini religiosi che hanno perduto la loro ispirazione, si sono attaccati alla loro religione ma la lasciano da parte quando si tratta di giudicare le cose umane e si tratta di incidere nell'azione politica. S.Tommaso d'Aquino così si esprime commentando Aristotele: "L'amicizia suppone che gli esseri siano vicini gli uni agli altri e siano giunti all'uguaglianza fra di loro. Spetta all'amicizia di usare in modo eguale dell'uguaglianza che già esiste tra gli uomini. Ed è alla giustizia che spetta di condurre all'uguaglianza coloro che sono diseguali: quando questa uguaglianza è raggiunta l'opera della giustizia è compiuta". (Commento sull'etica, libro VIII, lezione 7.) Questa concezione afferma il movimento progressivo dell'umanità, non come un movimento automatico o necessario, ma come un movimento contrastato, acquistato a prezzo di una tensione eroica di energie spirituali e di energie fisiche. Essa riconosce la giustizia e l'amicizia civile come i fondamenti essenziali di questa comunità di persone umane che è la società politica; e di conseguenza essa insiste così sulla parte fondamentale dell'uguaglianza, non soltanto dell'uguaglianza di natura, che è alla radice, ma dell'uguaglianza da conquistare come frutto della giustizia e come un frutto del bene comune riversato per tutti.
La libertà di ciascuno deve essere protetta, l'uomo deve lavorare a sottomettere a sé la natura materiale, la città deve essere forte e difendersi efficacemente contro le azioni dissolventi e contro i suoi nemici eventuali. Ma l'opera politica verso cui tutto questo deve tendere è la buona vita umana della moltitudine, il miglioramento delle condizioni della vita umana stessa e di procurare il bene comune della moltitudine in tal maniera che la persona concreta, non soltanto in una categoria di privilegiati, ma nella massa tutta intera, acceda realmente alla misura d'indipendenza che conviene alla vita civile, e che volta a volta le garanzie economiche del lavoro e della proprietà, i diritti politici, le virtù civili e la cultura dello spirito assicurano. In breve, l'opera politica è essenzialmente un'opera di civiltà e di cultura. La libertà dello sviluppo consiste prima di tutto nella fioritura della vita morale e razionale e di quelle attività interiori che sono le virtù intellettuali e morali. Liberazione ed emancipazione permanente da ogni forma di schiavitù ed asservimento. Ciò è possibile solo se essa conosce queste esigenze e se è sospesa ad un ideale storico difficile ed elevato, capace di sollevare tutte le energie di bontà e di progresso nascoste nelle profondità dell'uomo e oggi abominevolmente represse o pervertite. Lottiamo insieme per l'instaurazione di una città fraterna in cui l'uomo sia liberato dalla miseria e dalla servitù. Vi è una speranza più grande che deve essere portata agli uomini, per il quale si può domandare agli uomini di lavorare, di combattere e di morire: la verità dell'immagine di Dio in noi, la libertà e la fraternità universale. Se la nostra società agonizza è perché non osa abbastanza, perché agli uomini non abbastanza propone. Una nuova civiltà vivrà a condizione di sperare, di volere e di amare veramente ed eroicamente la verità, la libertà e la fraternità.
CONCLUSIONE. La sana società umana è fondata quindi: bene comune riservato sulle persone; moralità intrinseca del bene comune e della vita politica. Ispirazione personalistica, comunitaria e personalistica della organizzazione sociale, legame organico della società civile con la religione, senza costrizione religiosa né clericalismo, in altri termini società realmente, non decorativamente, cristiana. - Il diritto e la giustizia, l'amicizia civica e l'uguaglianza che essa comporta, come principi essenziali della struttura, della vita e della pace della società. - Opera comune ispirata dall'ideale di libertà e di fraternità tendente come a suo limite superiore alla instaurazione di una città fraterna in cui l'essere umano sia liberato dalla servitù e dalla miseria. Sarebbe facile mostrare che tutti questi caratteri di una sana società politica sono negati o misconosciuti, da punti di vista opposti, sia dall'antico individualismo borghese, sia dai totalitarismi di oggi, dei quali la forma peggiore è il razzismo nazista. E' qualcosa di nuovo che gli uomini dovranno costruire dopo questa guerra, in mezzo alle rovine, se l'intelligenza, la buona volontà e le energie creatrici prevalgono in essi. (Maritain, Cristianesimo e democrazia Ed. di Comunità - Milano 1950)
L'uomo è un animale dotato di ragione, ma è immensa la parte di animalità in tale misura. La parte degli istinti, dei sentimenti, dell'irrazionale è più grande ancora nella vita sociale e politica che nella vita individuale. Ne consegue che un lavoro di educazione, che sottomette l'irrazionale alla ragione e sviluppa le virtù morali. Purtroppo c'è chi conta, per raggiungere i propri fini sulla potenza apparentemente senza limiti del male e della corruzione. Questo è fare la rovina degli uomini e mettersi al servizio del demonio. Infine, noi emergiamo ancor si poco dall'animalità e così grande è in noi la parte della malvagità e della perversione che è troppo vero dire che le condizioni storiche e lo stadio ancora inferiore dello sviluppo dell'umanità rendono difficile alla vita sociale di attingere pienamente il suo fine. Ma la filosofia politica che si fonda sulla realtà deve lottare volta a volta contro due errori opposti: da una parte uno pseudo idealismo ottimistico, che va da Rousseau a Lenin, e che alimenta gli uomini di false speranze, pretendendo stimolare e snaturando l'emancipazione alla quale essi aspirano, - d' altra parte uno pseudo-realismo pessimistico che va da Machiavelli a Hitler, e che piega l'uomo sotto la violenza, non ritenendo di lui che la animalità che lo rende schiavo. (Maritain, Cristianesimo e democrazia Ed. di Comunità - Milano 1950)
(J. Maritain, La conquista della libertà, Antologia del pensiero etico politico, ed. La Scuola - Brescia) L'umanesimo integrale significa in primo luogo il riconoscimento che l'uomo è un'essenza mista, interamente animale ed interamente spirituale. Contro il dualismo cartesiano che separa l'anima dal corpo, il realismo di Maritain sottolinea l'unità strutturale della realtà umana, estrinsecamente condizionata dal suo corpo ma intrinsecamente libera dalla sua spiritualità (Cfr. Tre riformatori: Lutero, Cartesio, Rousseau, tr. it., Brescia, Morcelliana, 1967). "L'uomo è una persona che si tiene in mano per mezzo della sua intelligenza e della sua volontà. Egli non esiste soltanto come un essere fisico; c'è in lui un'esistenza più nobile e più ricca: la sovraesistenza spirituale propria della conoscenza e dell'amore". Ma "quest'uomo stesso è anche, in un altro senso, un individuo materiale, un frammento di una specie, una particella dell'universo fisico, un solo punto nell'immensa trama delle forze e delle influenze d'ordine cosmico, etnico, storico ..., alle cui leggi egli è sottomesso"(L'educazione al bivio, tr. it., Brescia, La Scuola 1975, pp. 20 e 22). Maritain distingue nell'uomo, senza separarle, l'individualità materiale e la personalità spirituale, come due punti di vista per considerare l'unità dell'uomo che è "persona" anche nella sua carne, come è "individuo" anche nella sua anima, ed è quindi oggetto delle conoscenze scientifiche, filosofiche e spirituali. Ma l'unità dell'uomo è un'unità gerarchica, perché è lo spirito che anima ed unifica la carne, per cui bisogna affermare il primato dello spirituale, ed il diritto alla vita su tutti i condizionamenti fisiopsichici e socio-ambientali. L'uomo ha dei diritti in quanto è concepito, non in quanto gli altri glieli riconoscono; è un soggetto di diritto, un protagonista del suo divenire, una persona che si fa personalità. "Il bene è dovuto a me perché io sono un "io". Per poter disporre dei suoi propri fini e rivelarsi capace di autodeterminazione, il mio io deve essere un microcosmo che mi appartiene, di cui io sono il padrone(un povero padrone, perché la mia libertà cavalca il determinismo dei miei istinti e del mio inconscio), ma pur sempre un padrone"(Neuf lecons sur les notions premieres de la philosophie morale, Paris. Téqui, 1951, p.164). L'uomo, come personalità, è superiore alla natura fisica, e uguale in dignità a tutti gli uomini nella comunità sociale, è inferiore a Dio nella cui soggettività si realizza pienamente la personalità. Si trova, quindi, al centro di numerose relazioni, "condizionato" dal basso ad opera della natura istintiva, delle condizioni sociali e del divenire storico, "influenzato" dall'alto ad opera dell'educazione, della cultura, della poesia, della religione. L'uomo non è quindi una parte della natura e della società, ma è un tutto che supera la natura, entra in un rapporto dinamico di interrelazione nella società e si apre a Dio; per questo motivo non può essere considerato un mezzo per lo sviluppo industriale o per il miglioramento sociale, perché è un "fine" in se steso. L'uomo nasce "sociabile" e diventa "sociale" tramite l'educazione; la socialità gli è connaturata, è un "animale politico", anzi una persona sociale che entra in società non solo per bisogno, come gli animali, ma anche per generosità e dedizione, con l'unico scopo di arricchire la società. Vi sono due movimenti nella storia, uno orizzontale , verso un costume democratico all'interno e all'esterno della vita di tutti i popoli, ed uno verticale verso la salvezza personale nella beatitudine eterna; ed una spirituale, morale: tra i due processi di liberazione vi è una naturale correlazione, perché l'uomo non raggiunge la propria salvezza personale se non impegnandosi nella comunità per la liberazione di tutto l'uomo. L'umanesimo integrale consiste proprio nella perfetta relazione tra umanesimo e cristianesimo, islamismo, ecc... Le aspirazioni connaturali sono proprie dell'uomo in quanto uomo, della persona umana in quanto persona umana; le aspirazioni trasnaturali sono proprie della persona in quanto persona e si realizzano solo in Dio, in cui la persona trova la più compiuta espressione. L'umanesimo liberal-borghese e l'umanesimo social-marxista non possono soddisfare le aspirazioni dell'uomo, perché si fermano alla natura e alla società, la liberazione dal bisogno e dall'oppressione non bastano, l'uomo ha bisogno di una liberazione morale e di una redenzione religiosa per liberarsi dalla "pena di vivere", dalla miseria esistenziale, dalla sofferenza e dalla morte. La condizione umana è quella che è, propria di una creatura, fatta ad immagine di Dio, ma decaduta dal suo ruolo, ferita nel suo essere, ed in condizione di pena; rifiutare questa condizione è impossibile, si è liberi "in" questa condizione e non "da" questa condizione; accettarla semplicemente non basta, perché è umanamente inspiegabile, bisogna superarla in un umanesimo eroico che solo il cristianesimo può alimentare e sostenere con il realismo della crocifissione e della speranza della resurrezione. E' questo l'esistenzialismo di S. Tommaso, che riconosce l'esistenza senza negare l'essenza, attribuisce alla persona una dignità assoluta, ma insieme sottolinea i suoi limiti, e la pone in un rapporto di redenzione con l'Assoluto, senza disperazione e senza presunzione. La perfezione non è nel successo o nel possesso, ma nell'amore, che accetta di esistere e si pone in un rapporto di servizio verso gli altri e di riconoscenza verso Dio, che soffre con l'umanità per liberarla dal male. (JACQUES MARITAIN, AZIONE E CONTEMPLAZIONE , ed. Borla.) Abbiamo urgentemente bisogno di un'azione che nasca dalla contemplazione, e questa è dono di Grazia. Ecco, il mondo chiede dei santi, cioè uomini puri nei loro pensieri, nelle loro azioni trasparenti. Se i credenti non gli danno ciò che comanda, tanto peggio per essi e per tutti; egli si vendicherà su di loro, e cercherà la sua consolazione presso il diavolo. Comunque come dicono S. Paolo, Maometto ed altri uomini di Dio: noi non abbiamo ricevuto per missione di far trionfare la verità, ma di combattere per essa. Qual'è l'origine del disordine moderno? La naturalizzazione del cristianesimo! Rousseau ha snaturato il Vangelo strappandolo all'ordine soprannaturale, trasportando alcuni aspetti fondamentali del cristianesimo sul piano della semplice natura. Una cosa assolutamente essenziale per la fede è la soprannaturalità della Grazia. Togliete questa soprannaturalità e la fede si corrompe. Godimento inverosimile per tutti i filosofi da strapazzo. Ecco perché si trovano ovunque, nel mondo moderno, analogie depravate della mistica cattolica e brani di cristianesimo laicizzato. Dal falso dogma della bontà naturale, Rousseau non è il primo che ne abbia cavato pazzie. Duemila anni fa, nel 213 a.C., l'imperatore Tsin-Sceu-Hoang-ti diede ordine di bruciare tutti i libri e fece crudelmente suppliziare i letterati che tentarono di opporsi a quella distruzione; egli aveva letto, stando a certi commentatori, in Confucio e in Mencio quella veneranda verità che all'origine l'uomo era buono, e ne aveva dedotto, da despota evoluto alla Rousseau, che le lettere e la civiltà sono causa della corruzione del popolo. Ma Rousseau aveva dietro di se tutta la sapienza cristiana, e la caduta è stata di conseguenza tanto più rovinosa e pesante. Eliminato il riferimento trascendente: la natura è buona e va assecondata in tutti i suoi istinti, perché non ci sono in noi fomiti di concupiscenza e inclinazioni guaste che ci piegano al male; l'uguaglianza diviene il pretesto per disprezzare le gerarchie naturali e razionali. La rivoluzione divine un mito falso e accecante, quando si presumono i risultati ottenibili solo per Grazia, di ottenerli dall'intervento, così si sono attuate immani carneficine e dittature orribili di stampo marxista. Cosa dire poi della legge dell'amore? Esso viene ridotto al rango più sciocco e più vile, un vago umanitarismo. UN GRANDE RITORNO VERSO LO SPIRITO. Osserviamo l'atteggiamento delle tre filosofie politiche moderne nei riguardi del cristianesimo. L'individualismo borghese è delle tre, il più religioso. Praticamente ateo e decorativamente cristiano, troppo scettico per perseguitare, se non quando era in causa un profitto materiale, non rivolgeva una sfida alla religione, ma la credeva inventata dai preti e progressivamente spodestata dalla ragione e si serviva di essa come una forza di polizia che facesse da guardia alla proprietà privata nei confronti degli sfruttati e oppressi o comunque come una banca dove -dopo tutto- mentre si arricchiva in questo mondo, poteva assicurarsi ad ogni buon fine contro i rischi inconoscibili dell'al di là. Le altre due hanno sfidato il cristianesimo. Gli Stati totalitari-nazionali (la loro ideologia non è scomparsa con loro), eredi del vecchio antagonismo dell'Impero pagano contro il Vangelo, hanno perseguito spudoratamente la divinizzazione totalizzante del potere politico trasformato in potenza che asservisce, inebria, succhia e stritola. Il comunismo, che si situa nella linea storica del razionalismo moderno, dell'umanesimo antropocentrico e delle aspirazioni democratiche passate sotto l'obbedienza immanentistica (e in lotta ideologica con le proprie fonti cristiane) di cui è la suprema peripezia, deve in realtà essere considerato come un'eresia cristiana - l'ultima e del tutto radicale eresia cristiana. Esso è universalista come la Chiesa. Sono energie d'origine cristiana interamente laicizzate ch'esso mette in opera nei suoi militanti. La trasformazione dell'uomo, che il cristianesimo domanda alla grazia interiore, in funzione anche della vita eterna, il comunismo la domanda alla rivoluzione collettiva, che rinnova la storia e la società per la sola vita di questo mondo. Il suo ateismo è un risentimento morale e religioso contro la trascendenza divina. E' proprio dall'interno della civiltà cristiana, che il comunismo conduce la propria battaglia; ed essa vuol essere più un processo di sostituzione o di soppiantamento che di aggressione, come se, nel giudizio segreto che il comunismo da di se stesso, i soli veri cristiani -per la terra e liberati dal Dio trascendente- fossero i comunisti. Donde consegue che comunisti e cristiani hanno cattiva coscienza gli uni verso gli altri. Anche quando tendono sinceramente la mano ai cattolici, i comunisti sentono oscuramente che la loro vocazione e di soppiantarli nell'ordine della vita politica o della civiltà. Le concezioni del mondo e della vita di tipo materialistico, le filosofie che non riconoscono l'elemento spirituale, l'elemento eterno nell'uomo, sono incapaci di evitare l'errore nella costruzione di una società veramente umana, perché sono incapaci di riconoscere tutti i diritti della persona e proprio per questo di comprendere la natura stessa della società. Tutti gli uomini del mondo devono sentirsi impegnati alla costruzione di un progetto spirituale e al contempo politico per il compimento della vita personale, come espressione di tutte le potenzialità intrinseche, che completano il processo di umanizzazione. Quello che vi è di più profondo nella persona, la sua vocazione sovratemporale, a questo la società e la sua opera devono essere indirettamente subordinate, cosa che presuppone una trasformazione radicale ed un grande ritorno verso lo spirito. Gli uomini d'oggi hanno bisogno di segni: vedere concretizzato un nuovo stile di santità, perché ogni rinnovamento sociale è opera di santità.
La strada dell'esempio e della testimonianza quotidiana non eclatante. Leggendo il percorso spirituale dei grandi taumaturghi, ovvero di uomini dotati da Dio di carismi straordinari, cioè di possibilità concesse oltre le leggi naturali, condizioni proprie degli angeli, ovvero di creature non divine ma superiori sul piano della creazione. Mi sono spesso guardato dentro, intuendo a volte tali possibilità inespresse. Questo portava a colpevolizzarmi, perché in fondo poteva essere la mancata coerenza della mia adesione alla volontà di Dio. Ma mi sbagliavo, i carismi straordinari sono concessi, (per fortuna raramente) ad uomini designati, non necessariamente in funzione della loro santità, per lo svolgimento di missioni straordinarie, sempre e comunque per essere "a servizio" di necessità spirituali particolari. Quindi, solo nella logica divina, si realizzano queste possibilità soprannaturali di potenza, come la bilocazione, ecc... Il predestinato non si percepisce privilegiato, tutt'altro, sarebbe ben lieto se dipendesse da lui, di starne fuori. Certo Dio non forza mai la libertà delle sue creature, che si assoggettano a questa condizione straordinaria solo per il fine di salvare anime. Questi uomini sono umili, poveri, disinteressati, benevoli e misericordiosi, tutti nell'avvicinarli si sentono a proprio agio. Così non è certo per chi gestisce in proprio "un potere" ottenuto dalle tenebre. Ora Jacques, torniamo sul tuo libro, dici che la nostra ordinaria vita morale è tanto fragile, a motivo dei condizionamenti del nostro ambiente, come del regno sotterraneo del nostro carattere incosciente che ci dirigiamo spontaneamente a quegli uomini che Bergson chiamava gli "eroi" della vita spirituale. Più conosciamo la santità dei santi, e la vita morale di coloro che hanno corso l'avventura di dare tutto per entrare in ciò che essi descrivono come l'unione divina e l'esperienza delle cose di Dio, più sentiamo che la verità sola può dare tali frutti e che la certezza che sostiene tutto in questi uomini non può mentire. Un atto, il minimo atto di vera bontà, è, per dire il vero, la migliore prova dell'esistenza di Dio. Ma la nostra intelligenza è troppo ingombra di nozioni per vederlo; allora noi lo crediamo sulla testimonianza di coloro nei quali la vera bontà risplende in modo da stupirci. Questa non è una prova dell'esistenza di Dio. E' un argomento basato soltanto sulla testimonianza. Rimane indispensabile una qualche forma di esperienza personale della Sua presenza, che si rivela in fondo all'anima, di quello stesso Dio di cui noi sentiamo parlare dai suoi amici. Questa intuizione e percezione personali, aprono la strada ad un rapporto reale che se avviene sul piano dello spirito non manca di manifestare subito i suoi frutti materialmente. Questa è la logica e la razionalità della fede, che operando una sintesi, si volge affascinata al bene più grande e compie la sua opzione fondamentale, vero matrimonio dell'uomo con Dio, vero gaudio e gioia e pace e dolcezza intima ed esterna dei sensi. L'uomo ha finalmente trovato se stesso è giunto alla sua casa.
La neutralità non ha più spazio nel mondo. Tutti sono costretti, anche gli stati a scegliere di essere pro o contro Dio, pro o contro il Vangelo. Tuttavia uno stato clericale o ipocritamente religioso è funzionale alla logica del potere fine a se stessa. E' la missione spirituale della Chiesa che deve essere aiutata, non la potenza politica o i vantaggi temporali che questi o quelli tra i suoi membri potrebbero prendere in suo nome. Una società politicamente e realmente cristiana sarebbe cristiana in virtù dello spirito stesso che l'anima e che informa le sue strutture. E poiché l'oggetto immediato della civitas temporale è la vita umana con le sue attività, le sue virtù naturali e il bene comune umano, non la vita divina e i misteri della grazia, una tale società politica non richiederebbe dai suoi membri un credo religioso comune e non metterebbe in una situazione di inferiorità o di diminuzione politica coloro che sono stranieri alla fede politica che l'anima, e tutti, cattolici e non cattolici, cristiani e non cristiano, dall'istante che essi riconoscono, ciascuno nella propria prospettiva, i valori umani di cui il Vangelo ci ha fatto prendere coscienza, la dignità e i diritti della persona, il carattere d'obbligazione morale inerente all'autorità, la legge dell'amore fraterno e la santità del diritto naturale, si troverebbero perciò stesso attratti nel suo dinamismo e sarebbero capaci di cooperare al bene comune. Ma le altre confessioni religiose potrebbero pure aver parte in tale espressione pubblica e sarebbero ugualmente rappresentate per difendere i loro diritti e le loro libertà e per aiutare l'opera comune, nei consigli della nazione. Non vi è che un bene comune temporale; quello della società politica; come non vi è che un bene comune soprannaturale: quello del regno di Dio, che è sovrapolitico. Introdurre nella società politica un bene comune particolare che sarebbe il bene comune temporale dei fedeli di una religione, fosse anche della vera religione, la quale reclamasse per essi una situazione privilegiata nello Stato, sarebbe introdurre un principio di divisione nella società politica e venir meno pertanto al bene comune temporale. Non è accordando alla Chiesa un trattamento di favore e cercando di agganciarsela con vantaggi temporali pagati col prezzo della sua libertà, che lo Stato l'aiuterebbe maggiormente nella sua missione spirituale, ma domandandole di più - domandando ai suoi preti di andare verso le masse e di congiungersi alla loro vita e diffondere fra esse il fermento del Vangelo, di chiedere ai suoi militanti laici e a tutte le sue organizzazioni di aiutare il lavoro morale della nazione e di sviluppare nella vita sociale il senso della libertà e della fraternità.
Ogni bellezza racchiude un canto / e il poeta che lo comprende con devozione lo vuol narrare / Per quali strade tu giungi al cuore melodia-lieve delirio / Tu che dirigi i cori degli angeli e fai suonare la loro lode / Di quale abisso creatore / Sei tu la voce, sublime musica / E di qual voce tu sei il sonno / Che ha / nel ritmo l'armonia. / Di qual mistero tu sei il richiamo / Il palpito l'accento vero / Il fascino la casta parola. / Che armonizza nei suoi discorsi / La tristezza dell'ecclesiaste / E l'esultanza dell'amore / Che cela più di quanto sveli. La realtà nella sua essenza / Al di la di ogni sentimento. E d'una patria fa sognare / in armonia col nostro essere / E d'uno spazio senza fine. RAISSA MARITAIN per Arthur Louris
Si sono santificati non malgrado il loro matrimonio, ma attraverso il loro matrimonio, anche quando liberamente ad un certo momento della loro vita hanno voto di castità. Jaques nel '63 ha scritto: "Amore ed Amicizia” pubblicata come capitolo di “Ricordi e appunti" nella quale distingue l'amore di cupidigia e l'amore di dilezione fino a trasfigurare nell'amore folle per Dio l'amore coniugale. In questa prospettiva religiosa i coniugi si amano ancora, ma non più per se stessi, bensì nell'amore di carità che tutto comprende, il desiderio come il possesso, la gioia come il dolore, l'amicizia come l'amore, perchè gli sposi cristiani sono tutt'uno nel sacramento che li unisce a Dio. Non si tratta di negare l'amore romantico, l'amore umano, ma di evitare che decada nell'amore di cupidigia per elevarsi nell'amore di dilezione (secondo me la castità coniugale è sufficiente ad esprimere tutto questo). "Insomma, la verità è questa, secondo me: anzitutto l'amore come desiderio o passione, e l'amore romantico, o quanto meno un elemento di esso, dovrebbero per quanto possibile, essere presenti nel matrimonio come un primo incentivo, come punto d'avvio. D'altronde, sarebbe troppo difficile per l'essere umano, se e quando un'occasione invitante all'amore romantico si presentasse più tardi fuori del matrimonio, resistere alla tentazione; già quel che rende più infelice l'omo non è dato tanto dalla perdita di quanto posseduto, quando dal mancato possesso, dalla mancata reale CONOSCENZA. In secondo luogo, il matrimonio, lungi dall'avere come suo scopo precipuo quello di portare a compimento perfetto l'amore romantico, ha da compiere nei cuori ben altra opera: una infinitamente più profonda opera di alchimia: trasformare l'amore romantico in amore umano, reale ed indistruttibile, in amore veramente disinteressato, che non esclude il sesso, si capisce, ma che diviene sempre più indipendente dal sesso, e può persino essere, nelle sue forme più elevate, completamente libero dall'interferenza sessuale, in quanto di natura essenzialmente spirituale: una completa ed irrevocabile donazione dell'uno all'altro, per amore dell'altro e non per quello che l’altro può dare. Così è che il matrimonio può essere una autentica comunità d'amore tra uomo e donna: qualcosa di costruito non sulla sabbia, ma sulla roccia, perchè poggia su un amore genuinamente umano e spirituale, genuinamente personale. Attraverso l'ardua disciplina dell'autosacrificio ed a forza di rinunce e purificazioni. Allora, in un libero ed incessante fluire e rifluire di emozioni, in un continuo interscambio di sentimenti e di pensieri, ciascuno partecipa realmente in virtù dell'amore, di quella vita personale, dell'altro che appunto costituisce per natura, l'incomunicabile possessione dell’altro: preparato e pronto come un angelo custode deve essere, a molto perdonare all'altro: infatti la legge evangelica del reciproco perdono bene esprime, mi pare, un'esigenza fondamentale, che è valida non soltanto nell'ordine soprannaturale, ma anche nell'ordine terreno e temporale. Ciascuno, in altre parole può allora rendersi realmente dedito al bene e alla salvezza dell'altro. "A questa pienezza di amore, umana e divina, nella quale l'amore di Dio si riflette nella creatura amata” non si arriva ordinariamente che dopo una certa maturazione nell'esperienza della vita e nella sofferenza: è l'amore in cui uno dona realmente all'altro non soltanto ciò che ha ma ciò che è, la sua stessa persona. Raissa aveva ben compreso il significato di questo amore coniugale, tanto che in una poesia "LA LODE DELLA SPOSA" del'35 così ritrae Maritain: “il tuo viso è così dolce nelle mie mani / è fresco, delicato e fragile / Caro viso sensibile, si turba, freme come l'erba dei prati / sia l'amore mistico della Chisa per il suo Dio, come nel Cantico dei Cantici,/ Il Dio dei cuori / cancella degli anni la polvere e le tracce del tempo / E ti porta senza ruga e senza macchia, / dall'amore all'Amore senza tramonto.”
E Jacques così descrive la sua sposa: “Bontà, Purezza. Raissa va sempre fino in fondo nelle sue azioni, con un'intenzione ben dritta e una volontà integra: il suo coraggio è senza calcolo e la sua pietà senza difesa. Dove non c'è bellezza ella si sente soffocare, non può vivere. Raissa è sempre vissuta per la verità, non ha mai resistito alla verità. Il suo spirito non ha mai fatto una grinza e il suo dolore non è stato mai mentito. Ella dona tutto, senza tenere nulla per se; per il suo cuore come per il suo intelletto è la realtà essenziale che conta: nessun elemento accessorio riuscirebbe a farla esitare. Il suo pensiero e la sua natura sono per inclinazione intuitivi; siccome è una creatura tutta interiore, è tutta libera / la sua ragione si appaga con il reale, la sua anima con l'Assoluto.”
IL SAPERE DISCORSIVO DI MARITAIN E L'INTUIZIONE POETICA DI RAISSA SI COMPLETANO A VICENDA NELLA LORO UNIONE CONIUGALE, IN CUI L'AMORE DIVENTA AMICIZIA, E L'AFFETTIVITA' RECIPROCA SI SUBLIMA NELLA CONTEMPLAZIONE DI DIO, SENZA NULLA TOGLIERE ALL'AMORE UMANO, PUR NELLA SOLITUDINE INTERIORE CHE L'AMORE DI DIO ESIGE PERCHE' E' UN AMORE SENZA RISERVE E SENZA CONFINI. L’amore coniugale quando esprime veramente la realtà del sacramento, apre alla mistica e perfeziona l’unione sempre più, puruficandola ed elevandola a maggiori pienezze, in un crescendo che può essere vertiginoso (e per noi “piccolini” solo intuibile) dalle facoltà dell’anima.
Dopo la conversione al cattolicesimo(1906), di Raissa dall'ebraismo e di Jacques dal protestantesimo, il loro impegno pressante fu quello dell'apostolato culturale (liberamente integrato da Raissa e Jacques Maritain di Piero Viotto Milano, 7/3/91).
- PASCAL -
(liberamente tratto da Romano Guardini, PASCAL; ed Morcelliana, Brescia 1972) Più essenziale è che Pascal appartenga a quegli uomini che non possono essere definiti! Ciò che è propriamente di ogni vero uomo, ovvero il suo mistero! Pascal è sempre venuto a conflitto con ciò che, più o meno da vicino, lo circondava. Egli rappresenta l’erompere di forze sottoposte a violenta pressione e senza la possibilità di potersi mai esprimere in maniera totalmente compiuta. Più che di fronte ad un essere ci troviamo di fronte ad un volere, ad un lottare e a un divenire. La volontà mira senz’altro alla chiarezza e alla precisione, una potente energia costruttiva è all’opera. Lotta violenta, fino agli ultimi mesi della sua vita, in cui abbandona -finalmente- tutti i suoi problemi e da il suo cuore nelle mani di Dio.
- la massoneria è la società strumentalizzante lo stato costituzionale,
- la classe dominante è la società strumentalizzante lo stato socialista,
- il sindacato di maggioranza degli azionisti è la società strumentalizzante la società anonima o la multinazionale,la corrente è la società strumentalizzante il partito politico.
Per esattezza terminologica e concettuale teniamo a precisare che per soggettività strumentale deve intendersi quella che nell'ordine gerarchico pone al primo posto lo strumento e al secondo posto la persona umana. (Prof. Auriti)
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Martiri dei nostri giorni
La conclusione della sua vita non l’ha tratta attraverso una dimostrazione e una definizione (come avrebbe voluto la sua attitudine di scienziato), ma attraverso un’intuizione che gli giunge dal silenzio, un silenzio che è il premio trasfigurante ed illuminante di una intera vita che si svolta in profondissima pena e in sempre nuova lotta. L’uomo nella serietà della sua decisione esistenziale, deve raccogliersi in se stesso, levarsi fuori di se e lanciarsi al di la. Allora egli guadagna quota -passando come da uno stadio ad un altro- e diventa capace di una forma di esistenza più elevata; gli si apre un nuovo orizzonte ed egli è in grado di vedere cose più alte; una facoltà nuova di valutazione si risveglia in lui ed egli è capace di valutare ed amare a un livello più alto. La vita di Pascal si attuò nel pensiero, ricerca e conoscenza furono tutta la sua vita. Blaise Pascal nacque a Clermont il 19 giugno del 1623. Il primo stadio di conoscenza fu la natura nel quale Pascal divenne grande matematico, fisico ed ingegnere. Dopo un intensissimo lavoro durato due anni, inventò una macchina calcolatrice capace di grandi prestazioni. Pascal ripetè e sviluppò nella sua forma divenuta classica l’esperimento di Torricelli, giungendo così a dimostrare la possibilità dello spazio vuoto. Ridusse tale principio ad una legge generale, trattò aria e fluidi come sostanze mobili e giunse così alla teoria dell’equilibrio idrodinamico e alla progettazione di “una nuova macchina per la moltiplicazione delle forze” e cioè al torchio idraulico o elevatore. Conoscenza non significava per lui, soltanto constatazione, scoperta, o sia pure apertura spirituale, ma sempre, al tempo stesso, presa di posizione. Continuamente per quella volontà di conoscenza si trovava gettato in lotte interne ed esterne talvolta molto gravi, e non soltanto d’ordine spirituale, ma anche politico: negli ultimi anni si trattò per lui nientemeno che del carcere. Le fatiche intellettuali scossero la sua salute a tal punto, che a partire dal 1647, cioè all’età di 24 anni, gli divenne impossibile un regolare e continuato lavoro intellettuale. Ora Pascal è pronto per capire cosa sia propriamente l’uomo, ben diverso dal mondo della fisica e della matematica; l’uomo quale mondo particolare pieno di originali valori, valori che si assommano (ma non si esauriscono) nell’uomo di alta cultura(di ampie vedute), aperto alla pienezza della vita, capace di giudizio e benevolo. Se dal Pascal degli studi matematici e fisico-tecnici si passa a quello che sta dietro il “Discours sur les passions de l’amour” o dietro la prima parte delle “Pensèes”, ci si meraviglia della forza e della purezza di questo “salto”. Pascal crea i concetti imperituri, che sebbene già esistenti nella coscienza generale dell’uomo nobile, ricevono però da lui una valenza razionale del dato spirituale. Tutto non sul piano discorsivo delle idee, ma concretamente legato alla realtà dell’uomo, tanto che si da una logica del cuore, dei motivi e dei valori efficaci. Questo periodo di ricerca non doveva durare a lungo, P. brucia le tappe dello spazio e del tempo nella sete d’amore e di verità che il suo grande animo continuamente esige. La sua esistenza cadde nuovamente in una crisi, di recente rivelataglisi, la crisi religiosa o, più esattamente cristiana. Si sente attratto verso il divino. Ha inizio un periodo di dura lotta; un periodo penoso perchè ciò che urge per affermarsi è ancora oscuro ed impreciso. La situazione si fa sempre più profonda e, al tempo stesso, più difficile. La crisi raggiunge il punto culminante e si risolve, al tempo stesso, nell’avvenimento della sera del 23 novembre del 1654, nella quale Iddio s’innalza, per Pascal, a Realtà delle realtà, per il fatto che a Lui si fa chiaro chi sia il Dio vivo, distinto dall’uomo e dalla natura. E’ l’avvenimento che trova la sua espressione nel Memoriale. Il suo pensiero si trova, ancora una volta, di fronte ad una nuova realtà. Ed ancora una volta egli è così grande, da non lasciarsi tentare, nemmeno un attimo, di volerla comprendere con i concetti, le misure, i metodi della realtà precedentemente conosciuta. Il nuovo piano si stacca nettamente: fondato com’è da un nuovo oggetto, conquistato ed affermato in virtù di un atto specifico. Sorge così il compito di trovare i punti di avvicinamento, i mezzi logici, i metodi, che a quello spettano. La storia è il terreno di appuntamento con Dio! La distanza infinita che corre tra il corpo e l’intelletto simboleggia la distanza infinitivamente più infinita che corre tra l’intelletto e la carità, poichè questa è soprannaturale. La grandezza delle persone che vivono la vita dell’intelletto è invisibile ai re, ai ricchi e a tutti i grandi della carne. Come la grandezza della sapienza che viene solo da Dio, è invisibile agli uomini di pensiero. Sono tre odini di diverso genere. “Tutti i corpi, il firmamento, le stelle, la terra e i suoi regni, non valgono il più piccolo degli intelletti; poichè l’intelletto conosce tutte queste cose, e se stesso; e i corpi. Tutti i corpi e tutti gli intelletti insieme e tutte le loro produzioni, non valgono il più piccolo moto di carità. Questo è di un ordine infinitivamente più alto. Da tutti i corpi insieme non si potrebbe far uscire un piccolo pensiero: è impossibile, è di un’altro ordine. Da tutti i corpi e da tutti gli intelletti insieme non si potrebbe trarre un solo moto di vera carità: è impossibile; è di un’altro ordine, soprannaturale”. “La prima cosa che Dio inspira nell’anima che si degna di toccare veramente è una conoscenza e un modo di vedere del tutto straordinario, in forza del quale l’anima considera le cose e se stessa in maniera completamente nuova. Questa nuova luce le cagiona un timore, e le porta una inquietudine che ostacola il riposo ch’essa trovava nelle cose che formavano la sua delizia. Essa non può più gustare le cose che l’incantavano”. La nuova e la vecchia forma di coscienza e di giudizio si compenetrano a vicenda e lottano fra loro. E tutto il mondo entra in questa tensione. Il mondo non è più il finito che viene inteso in riferimento a un Assoluto, come nella filosofia pura, ma è il mondo del Dio vivo; materia della sua Provvidenza, spazio nel quale Egli viene. Esso è campo delle infinite azioni e degli infiniti avvenimenti, sul quale Egli incontra l’uomo. Quando Pascal visse l’esperienza della quale ci da notizia nel Memoriale non cessò di essere matematico, fisico, ingegnere, psicologo e filosofo. Ma una nuova realtà, quella del Dio vivente, gli si era dischiusa oltre l’antica; realtà che non poteva tralasciare e nemmeno isolare o separare secondo, per esempio, il modello idealistico della doppia verità. Essa esigeva un ripensamento di tutto il reale, dalla prospettiva che veniva ponendo. Se a un fisico che aveva visto dapprima nel corpo umano soltanto la statica e la dinamica di determinate strutture e forze, un giorno comprendesse finalmente cos’è la vita, egli non potrebbe allora fare due scompartimenti, uno per la struttura fisica dell’uomo e l’altro per la sua vitalità. Egli si sentirebbe sollecitato pittosto a porsi il problema della “fisica della vita”, e così i fenomeni fisici finirebbero necessariamente col ricevere, alla luce di quelli più alti della vitalità, una nuova sistemazione. I potenti frammenti che la successiva attività creatrice di Pascal ci ha lasciati, Le Pensesèes, testimoniano la lotta per venire a capo di questo compito. Il fine della conoscenza è il nesso della totalità dell’essere, il quale resta tuttavia ad essa irraggiungibile. Ciononostante la conoscenza non può rinunciare alla pretesa di conoscere il tutto, l’intero. Questo porterà Pascal a divenire il più grande dei moralisti francesi. “I principi e i re non siedono sempre sui loro troni, perchè si annoierebbero. La grandezza ha bisogno di essere abbandonata per poter essere sentita. La continuità porta la noia in ogni cosa; il freddo piace per il piacere che reca poi lo scaldarsi... Nulla è tanto insopportabile per l’uomo quando l’essere in completo riposo, senza passioni, senza occupazioni, senza distrazione, senz’essere impegnato in qualcosa. Egli avverte allora il suo nulla il suo abbandono la sua insufficienza, la sua dipendenza la sua impotenza, il suo vuoto. Subito sorgerà dal fondo della sua anima la noia, l’umor nero, la tristezza, l’affanno, il corruccio, la disperazione”. Appena il movimento s’arresta anche la vita s’arresta; il che s’esprime nella noia, la grande nemica al tempo stesso dell’alta cultura e delle sue realizzazioni. “Quando non si conosce la verità su una cosa, è bene -almeno- che ci sia un errore comunemente espresso che fissi lo spirito degli uomini... Poichè la malattia principale dell’uomo è la curiosità inquieta riguardo alle cose che non può sapere, ed è per lui male minore essere nell’errore che in questa curiosità inutile”. Come trovare la giusta posizione o l’angolo dell’esatta visuale, che ci permette di vedere le cose nel loro giusto ruolo? “Quando si vogliono perseguire le virtù fino al loro punto estremo...emergono dei vizi che s’insinuano insensibilmente... Perfino nel desiderio della perfezione si può rimaner vittime(dell’orgoglio)”. “L’uomo sta tra due abissi: l’abisso dell’infinito e l’abisso del nulla”(I vili non sostengono questa situazione: si dichiarano atei, o peggio ancora diventano “praticanti religiosi”). La condizione umana reale è quindi il desiderio di stabilità, irraggiungibile a causa di un continuo smottamento... la terra si spalanca sotto di noi. L’uomo è fra i due abissi dell’infinito e del nulla, egli è un punto di mezzo fra il nulla e il tutto. Il nulla e l’infinito ci fanno prendere coscienza della nostra posizione nello spazio. “La grandezza dell’uomo è grande proprio in questo, che egli si conosce miserabile. Un albero non si conosce miserabile”. “Quanto maggiore è la potenza intellettuale di un uomo, tanto maggiori sono la grandezza e la miseria che si trovano contemporaneamente in lui”. L’uomo sta sospeso a mezzo fra terra e cielo, fra l’angelo e la bestia: “Che sarà dunque dell’uomo? Sarà uguale a Dio o alle bestie? Che spaventosa distanza! Che sarà dunque di noi?”. Lo spazio non entra neanche nella nostra fantasia: “Noi non concepiamo che atomi in confronto alla realtà delle cose. La realtà è una sfera infinita il cui centro è dappertutto e la circonferenza in nessun luogo”. “Non dallo spazio devo cercare la mia dignità, ma dall’ordine del mio pensiero. Nessun vantaggio mi verrebbe dal possedere terre: con lo spazio l’universo mi comprende, m’inghiotte come un punto; col pensiero (con l’amore) sono io che lo comprendo”. L’uomo sarebbe dunque per il suo corpo un pezzo di natura, soggetto e succubo alle sue forze. Lo spirito però avrebbe radici in se stesso e come tale si sottrae alla natura.
La forza cieca del male egli l’attinge innanzitutto dall’osservazione della generale situazione umana. “C’è qualcosa di più curioso del fatto che un’uomo abbia il diritto di uccidermi, perchè abita al di la del fiume e perchè il suo principe è in lotta col mio, sebbene io non lo sia con lui?”. Quando l’uomo si trova di fronte a se stesso, acquista chiara coscienza di quel male che egli stesso è: “Di quì deriva che agli uomini piace tanto il rumore e il movimento; di quì deriva che la prigione è un supplizio così orribile. Il re è circondato da gente che non pensa se non a divertire il re e a impedirgli di pensare a se. Perchè, per quanto sia re, è infelice se ci pensa”. La noia, tristezza insopportabile, diventa il termine ultimo per esprimere la condizione metafisica dell’uomo. “L’uomo dunque non è che travestimento, menzogna e ipocrisia, così in se stesso come riguardo agli altri. Non vuole che gli si dica la verità ed evita di dirla agli altri; e tutte queste disposizioni, così lontane da giustizia e ragione, hanno una radice naturale nel suo cuore”. Ecco lo sfogo singolarmente violento contro la superbia dell’intelletto, che vuol conoscere, aver ragione e dominare. “Riconosci, o superba, quale paradosso sei a te stessa. Umiliati, impotente ragione. Taci, natura ottusa...”. "Quale chimera è dunque l'uomo! Quale stranezza, quale mostro, quale caos, quale soggetto di contraddizioni, quale prodigio! Giudice di tutte le cose, verme ottuso della terra; fiduciario della verità, cloaca d’incertezza e d'errore; gloria e rifiuto del mondo". Un gusto molto amaro emerge per Pascal dal fondo dell'esistenza, e il carattere eticamente problematico dell'io si rivela. "Solo Dio si deve amare... La vera ed unica virtù è dunque di odiarsi... e di cercare un essere veramente amabile, per amarlo". In quale modo l'io sia minacciato dal male e come la sua confusione sia espressione del peccato è cosa che solo dal punto di vista della fede può farsi chiara. Dal male nasce quel terribile stato di sospensione, più esattamente quella mancanza di un punto fermo nello spazio: "Che sarà dunque dell'uomo? Sarà uguale a Dio o alle bestie? Che spaventosa distanza! Che saremo noi dunque? Chi non vede da tutto questo che l'uomo è smarrito, che è caduto dal suo posto, e che lo ricerca inquieto e non lo può ritrovare? E chi ve lo indirizzerà? Gli uomini più grandi non l'hanno potuto". Nonostante la propria coscienza della potenza e della dignità dello spirito, sullo spirito come tale non si può fare affidamento, occorre che si realizzi (che si maturi) come verità, bontà, misura e ordine(lo spirito può anche maturarsi nell’artificio). Lo spirito non è semplicemente realtà, ma, come realtà, è determinato dal valore. Lo spirito è quindi energia da orientare, da convertire al valore, altrimenti resta sempre ancora qualcosa che opprime, incatena, disonora. IL PROBLEMA DELL'UOMO Può VENIRE RISOLTO DAL RAPPORTO CON DIO. Così il fenomeno dello spirito non è di per se autonomo, come nulla nell'uomo è realmente autonomo, visto che non si è dato la vita da se, ma un'Altro gliel'ha data. Per questo il Dio vivente non è lo spirito nel senso moderno della parola, ma lo Spirito Santo. L'uomo è qualcosa che, non può essere compreso per se stesso. Esso non si esurisce nel limite della realtà naturale e mondana. Per costituzione è ad Deum creatus; ordinato ad essere toccato dall'incontro di Dio e immesso nella partecipazione del Dio vivente. L'uomo è costituito per superarsi infinitamente, per rientrare nell'equilibrio distrutto della grazia. Nel rapporto d'amore del figlio col Padre. L'uomo deve trascendere lo stato puramente naturale (buono e bello nel suo ordine, ma l’uomo non si riduce alla natura perché la ingloba tutta con il suo pensiero. L’uomo è fatto per...), che abbandonato a se stesso precipiterebbe in basso. La natura umana può essere soltanto o come sollevata al di sopra di se stessa o come precipitata al di sotto di sè. Da ciò è facile dedurre che la grazia e la partecipazione divina appartengono alla natura dell'uomo. Senza la grazia l'animale spirituale non è autentico uomo. La sapienza divina dice: "Io ho creato l'uomo santo, innocente, perfetto; l'ho colmato di luce e di intelligenza... Ma egli non ha potuto sostenere tanta gloria (e tanta gioia) senza cadere nella presunzione: ha voluto farsi centro di se stesso, ha voluto trovare la propria felicità in se stesso, si è allontanato da me ed io l'ho abbandonato a sè... l'uomo è divenuto così simile alle bestie ed è così lontano da me, che gli resta appena una luce confusa del suo autore: a tal punto sono stante spente e confuse le sue conoscenze!" (In realtà la più difettosa teoria metafisica e religiosa dell'uomo è sempre ancora più conforme alla realtà di una qualsiasi concezione puramente materialista). In se stesso anche lo spirito dell'uomo si è degradato ed è da questo che deriva il suo smarrimento. UOMO PRENDI COSCIENZA!!! "Quando vedo la cecità e la miseria dell'uomo, quando vedo tutto l'universo muto e l'uomo senza luce, abbandonato a se stesso, e come smarrito in quell'angolo dell'universo, senza sapere chi ve lo ha messo e quel che è venuto a fare, quel che diverrà morendo, incapace di qualsiasi conoscenza, io atterrisco come un uomo che fosse stato portato addormentato in un'isola deserta e paurosa e che si svegliasse senza sapere dov'è e senza mezzi per uscirne. E tuttavia mi meraviglia come non ci si disperi di fronte a uno stato così miserevole. Vedo altri uomini accanto a me, della stessa mia natura: chiedo loro se siano istruiti meglio di me; mi dicono di no; e, con tutto ciò, questi miserabili smarriti, avendo guardato attorno ed avendo visto qualche oggetto piacevole, si son dati ad esso e vi si son attacati. Quando a me, io non ho potuto prendervi attaccamento: e, considerando quando sia più verisimile che esistano altre cose da quelle che io vedo, ho cercato se per caso questo Dio non avesse lasciato qualche traccia di sè". "Ma se l'uomo è fatto per Dio, perchè è così contrario a Dio?". Questo piano non è semplicemente più alto, ma si apre solo per libera iniziativa di Dio, per opera della sua grazia. Questo venire di Dio si realizza nella storia, perchè è Lui, è proprio Lui che cerca l'uomo nell'amore più grande. --- Certamente, mentre i filosofi si separano in innumerevoli sette, gli amanti di Dio di tutto il mondo, di tutti i tempi , di tutte le religioni, si ritrovano nella giustizia e nella verità dell'amore. Di una giustizia e di una verità che non ledono il bene ed il legittimo diritto di espressione di ogni uomo. Avere la coscienza d'essere in possesso della verità o del significato più alto (della realtà), più ampio, più antico, indistruttibile, genuino talvolta perfino insopportabile per quello che la propone(perchè scomoda) (contemporaneamente umile di fronte a tutti i possibili criteri di giudizio, per non avere la tentazione di essere totalizzante o coercitivo, per non minacciare la democrazia e il diritto della ricerca pacifica nella tollerante rispettosa convivenza con ogni uomo), e purtuttavia tale da non potersi estinguere. --- Pascal proietta una luce serena, la serena accettazione della realtà umana con il suo limite intrinseco, ma sebbene il peccato venga affogato e superato nell'amore di Dio, tuttavia le forze del disordine interiore, apportatrici di oscurità, confusione e degenerazione non verranno mai completamente vinte sulla terra. Persino quello che Dio rivela, minaccia di diventare a sua volta fonte di oscurità(fonte di potere e orgoglio). Il fatto che Dio attraverso una rivelazione, dai rivestimenti storicizzati, per ciò stesso traferita in categorie umane, attraverso cui Egli possa essere visto e percepito, ma al contempo frainteso. La rivelazione male testimoniata, diviene fonte di dubbio e equivoco perchè minaccia di nasconderLo e addirittura di negarLo(clericalismo-inquisizione-fanatismo-superstizone,ecc...). Il male che è nell'uomo ha interesse che Dio non si manifesti: così fa sorgere, proprio dalla stessa rivelazione, una nuova ambiguità. Appartiene alla grazia e alla libertà ultima del cuore umano se la genuinità di quella rivelazione viene realizzata e quest'ultimo dubbio superato.
L'uomo non è come l'animale un cerchio che si chiude su se stesso, esaurendo la sua logica nella funzionalità della sua specie. Il cerchio dell'uomo si chiude solo nell'abbraccio con Dio, solo attraverso uno spirito potenziato e reso infinito, dall'incontro con l'Infinito. La natura dell'uomo è il tendere all'infinito, il tendere a Dio, il suo arco lo chiude con lo Spirito di Dio, solo così può attualizzare la sua natura. Purtroppo però, l'uomo può al posto di Dio, porre una cosa, con la quale crea l'artificio, l'artefatto, così si snatura facendo violenza a se stesso, fino ad accartocciare e svilire il suo essere. L'esistenza per l'uomo è una cosa necessaria per giungere al suo compimento. L’uomo ha diritto di fare personale esperienza della presenza di Dio e Dio attende con ansia i tempi propizi a questa relazione. L'uomo è così chiamato ad incarnare i sentimenti di Dio, ad esprimere il suo pensiero ed il suo amore. L'uomo è Dio per partecipazione. Ma se l'uomo chiude il suo cerchio in una cosa o in una cratura (idolo), il male diviene la natura dell'uomo, perchè avviene un disorientamento che è perversione di natura. La naturalezza per l'uomo è l'essere fatto per Dio. Il male nell'uomo distorce tutta la natura. Che cosa è il male? Il male è l'artificio. Una volta che l'uomo ha distrutto la sua natura e attraverso l'artificio crea strutture e sistemi di convivenza alternativi, uccide in se il senso di Dio e tutta la società si trasforma in un verminaio umano, in una catastrofe (Vedi: Nazismo, Marxismo, comunismo o Turbo Capitalismo). L'essere dell'uomo è costituito sulla base del rapporto con Dio; con la distruzione di questo rapporto esso pure si distrugge. Ma Dio vuole associare l'uomo all'amore che è in Lui, il contrario è il nulla, il vuoto, la mancanza di senso. Questa esistenza martoriata dalle cose e dagli idoli è chiamata a risorgere. "La concupiscenza è divenuta naturale in noi, ed ha costituito la nostra seconda natura. Ci sono così due nature in noi: l'una buona, l'altra cattiva". Dall'altro lato c'è anche qualcosa di buono in noi: la responsabilità del nostro essere, rimasto in qualche modo simile a Dio, nonostante tutta la devastazione. Tuttavia, nonostante i limiti dell'uomo e le sue parziali realizzazioni, la sua grandezza consiste nella "nostalgia". Di chi? Del Volto di Dio, ovviamente o di quello che esso rappresenta degli ideali politici di Giustizia e Verità che possono essere concretizzati nella contingenza storica. (liberamente tratto da Romano Guardini, PASCAL; ed Morcelliana, Brescia 1972)
"LE COEUR" è SOTTO UN CERTO ASPETTO LA REALTà CENTRALE NELLA VISIONE PASCALIANA DELL'UOMO. Il cuore è importantissimo, è tutto, è spirito, è valore ed essere, è conoscenza e volontà. Il cuore stesso è spirito; una delle manifestazioni dello spirito. Il cuore elimina ogni scissione è unità dellessere, tutto tranne che sentimentalismo. Il cuore è la sintesi dell'uomo, il valore e l'essere come creazione continua. Amore che diventa gioia e produce purezza nella passione. Perciò uno spirito grande e puro ama con ardore e vede chiaramente ciò che ama. E ancora: "Quando più spirito uno ha, tanto più grandi sono le sue passioni, perchè non essendo le passioni altro che dei sentimenti e dei pensieri che appartengono puramente allo spirito, sebbene esse siano occasionate dal corpo". Le passioni quando sono dominate dallo spirito non portano mai alla confusione. Il cuore risponde al valore, esso è lo strumento più idoneo per riconoscere e relazionarsi con Dio. Non sbaglieremo certo nel sospettare quì un'esperienza personale di Pascal. E' chiaro che egli tratteggia se stesso. Ancora più straordinariamente più scandalizzante per ogni sentimentalista è la funzione che viene attribuita al cuore... e quì notiamo che non è un qualsiasi visionario del sentimento che parla, ma l'autore delle dissertazioni sulle sezioni coniche, uno dei fondatori del calcolo delle probabilità e il costruttore della macchina calcolatrice! Pascal afferma dunque che i primi assiomi del pensiero vengono intuiti dal cuore, che è il cuore a porre le premesse di ogni possibile conoscenza del reale. Ora amore non significa soltanto reazione nei confronti del valore, ma farsi attivo di fronte ad esso, è iniziativa, è libertà. Peccato significa che l'uomo vuol restare in se stesso. Esso tende a rendere autonomi i valori, a impostarli in un ordine gerarchico arbitrario e manipolandoli, a farne strumenti di ribellione contro Dio, superbo, egoista, impuro nello spirito. Il mistero della Grazia e della libertà dell'uomo si trasformano in Carità, l'unica dimensione umanizzante.
R. Guardini, Pascal, Brescia 1972, pp.21-56.
Il memoriale, La decisione religiosa nella vita di Pascal
-SINTESI LIBERAMENTE RIELABORATA-
è un'opera autobiografica, nella quale Pascal, segue l'itinerario scientifico e religioso della sua fede in Dio. Nato in una famiglia agiata e al centro di stimoli culturali si forma il suo grande genio. Il "Memoriale" è stato trovato dopo la sua morte nella fodera della giacca. Rappresenta quindi il segreto e la sintesi della sua ardente esistenza. Nel "Memoriale", Pascal riporta le sue esperienze mistiche. La scoperta di Dio per Pascal, fu come un fulmine a ciel sereno, infatti, il Memoriale riporta particolarmente la sua scoperta sull'essenza divina, sia frutto di una illuminazione mistica sia come il frutto della sua ricerca filosofica. Infatti, considerò la sua vita come il centro di attenzione e polo vitale del suo lavoro illuminato, il suo laboratorio sperimentale. La scoperta fulminante squarcia ulteriormente nel delirio dell'amante la grande sete di ricerca e il grande bisogno di possesso del Dio-amore. Il memoriale parla del come egli giunse alla sua conoscenza e del "salto definitivo col quale quel piano venne raggiunto". La formazione culturale di Pascal era curata con metodo ed attenzione dal padre, il quale aveva intuito la genialità del figlio, attratta fortemente dalle scienze matematiche. Il giovane Pascal applicava praticamente le sue informazioni scientifiche, con rigorosa coerenza politica e questo rigore intransigente gli costò anche la galera. Le fatiche intellettuali scossero la sua salute già all'età di 24 anni, tanto che gli fu impossibile un regolare lavoro intellettuale. Pascal capisce subito che le leggi fisiche non possono applicarsi all'uomo, perché la sua natura è diversa. Pascal: animo ardente, profondo, vasto e ardito, diventa inquieto, di una inquietudine mai sperimentata prima dal suo animo ardente, perché ormai il suo genio è alla ricerca del mistero religioso-esistenziale. Percepisce il divino e si sente attratto, affascinato, sedotto da esso. La crisi si risolve raggiungendo il suo apice la sera del 23 nov. 1654, sera in cui scrive - di getto - come per una fulminante intuizione il Memoriale. Tutto ora è chiaro, diventando Dio somma realtà, realtà delle realtà. E' chiara la distinzione e la comunione tra il Dio vivo, l'uomo e la natura. Il mondo diventa il mondo del Dio vivo e l'incontro dell'uomo col Dio di Abramo e di Gesù caratterizza l'unico valore che da senso alla vita. L'esperienza del Memoriale non distolse Pascal dal suo essere matematico, fisico, ingegnere, psicologo e filosofo. Tutte le scienze sono quelle che sono, ma c'è una realtà superiore che le abbraccia, quella di un Dio vivo. Un Dio amore vicino agli uomini più di quanto essi pensino, un Dio che parla con gli uomini, che li chiama e li attira a se con la forza del suo amore.
Pascal, secondo Di Montagne e Merè, è il più grande moralista francese. Per lui lo spirito non è geometria e si può afferrare solo con l'intuizione, cogliendolo come un tutto, mentre la comprensione della nostra natura sta nel movimento e nella ricerca. L'uomo è quindi posto necessariamente in una condizione di evoluzione continua. Di conseguenza la noia rappresenta il suo morire. Ma è proprio la continuità o ripetitività a portare la noia in ogni cosa. Per questo abbiamo bisogno della passione, che da nuovo stimolo alla voglia di vivere. Uno solo è il punto di equilibrio o il giusto rapporto che ci permette di vedere le cose nel giusto ruolo.
La grandezza consiste nel mantenersi nel punto giusto dal quale si toccano i due estremi riempiendo lo spazio interposto. La nostra vera condizione è il desiderio di stabilità in un continuo smottamento. L'uomo è il punto di mezzo fra il nulla e il tutto. Il pensiero è tutta la sua grandezza, quando prende coscienza della sua limitatezza e della sua miserabilità. L'uomo ha il destino di scegliere se essere Dio o se essere bestia, infatti è posto in mezzo e deve spingersi in una direzione. Sia l'infinitamente grande che l'infinitamente piccolo si equivalgono, entrambi non li possiamo abbracciare neanche nella nostra fantasia. Il nulla e l'infinito ci fanno prendere coscienza della nostra posizione nello spazio. Perché, se da una parte ci avviliscono nell'orgoglio dall'altra risollevano la nostra abiezione. Ma l'uomo è fatto per l'infinito spirituale. Gli spazzi materiali non sanno di me. Infatti la cosa più terribile è la fredda indifferenza della realtà materiale nei miei confronti, quindi non dallo spazio e dal tempo, non da realtà materiali devo trarre la mia dignità, ma dall'ordine del mio pensiero. Infatti il dominio maggiore è spirituale è un dominio superiore al dominio politico. Lo spirito ha radici in se stesso, con esse può sottrarsi alla natura che per Pascal rappresenta il male. Il male non solo è una forza cieca, ma purtroppo una disposizione dell'animo umano. Così, la forza cieca del male si trova indissolubilmente legata al diritto e alla morale.
Chi non vive una realtà spirituale è costretto a fuggire di fronte a se stesso ed è costretto ad affidarsi al caso , questa situazione diventa penosa perché risulterà impossibile sfuggire alla noia. Considerando l'uomo un gusto molto amaro sorge per Pascal dal fondo dell'esistenza. Le qualità civiche sono caduche e fragili e l'io è ingiusto in se ed incomodo agli altri. L'unica vera virtù è dunque di odiarsi, solo Dio si deve amare. Il male non è necessario esso è solo intrinseco alla nostra natura umana decaduta, qui è il mistero dell'uomo.
L'uomo è costituito da tre ordini rappresentati da:
(SPIRITO+SPIRITO SANTO).
L'uomo può trovare spiegazione in Dio con la grazia. Questo significa che l'uomo è fatto per passare infinitamente se stesso e aprirsi al divino o scomparire nel nulla.
Per ricostruire l'equilibrio e l'armonia della natura umana è indispensabile prima la legge umana e divina poi la grazia e la fede per entrare nella vita divina che possa assumere e trasfigurare la natura umana neutralizzando i suoi aspetti negativi. Che sono: vanità, orgoglio e ignavia.
Purtroppo, con il peccato originale anche lo spirito dell'uomo si è degradato, è da questo che deriva il suo totale smarrimento. Uomo, prendi coscienza della tua realt! Uomo, poniti alla ricerca della tua identità, cioè alla ricerca di Dio!
Il Dio veniente dalla rivelazione e non quello veniente dalla speculazione filosofica, perché anche il pensiero è decaduto perché solidale con il destino di corruzione della materia.
Non esiste un bene assoluto e valido per se stesso. Bene è fare la volontà di Dio, in questo consiste la grandezza e la Santità di Cristo nell'amore. L'uomo non può arrivare da solo alla salvezza se Dio mediante Cristo non lo libera. La conoscenza dell'uomo o si apre alla miseria o si apre a Dio. Solo Cristo può aprire gli occhi del male, perché lo spirito lasciato a se stesso cade nel male. Cristo è realtà e concretezza umana. Il dinamismo di Cristo agisce e crea la vita divina in colui che crede e che accoglie la sua presenza di risorto.
Il male è l'artificio, ovvero la perdita dell'armonia originaria.
La natura a livello oggettivo è indipendente dall'uomo perché è qualcosa di dato di stabilito, tutto il contrario dell'uomo la cui fatica di vivere, il suo impegno esistenziale è trovare il suo significato. Il dover vivere "per" amore. Dono di se e consumazione di se per la felicità di altri, ovvero andare contro l'istinto della sua natura biologica che orgogliosamente si afferma e vuole la propria conservazione attraverso il potentissimo istinto di sopravvivenza. La nostalgia rimane quindi la vera grandezza dell'uomo, nostalgia del suo equilibrio perduto, quell'equilibrio perduto per il peccato originale ma riconquistato non senza lacrime e sangue da Cristo sulla Croce. Per Cristo, con Cristo e in Cristo allora si compie la unificazione dell'essere e la sua armonia uscendo dall'artificio.
L'intervista del mese -Messaggero di Sant’Antonio- Giugno 1994- “Mio padre De Gasperi “ di Piero Lazzarin. A colloquio con Maria Romana, figlia del grande statista trentino che fu tra i fondatori della DC: le sue qualità di politico e di uomo; la sua fede e i suoi ideali.
Le note vicende che hanno portato la Democrazia cristiana a perdere prima la faccia e poi anche il nome, hanno fatto spesso affiorare nella memoria e nei discorsi il nome di Alcide De Gasperi che del partito dei cattolici era uno dei fondatori, il primo segretario e la guida ideale per tanti anni. In sostanza per dire: Se la DC avesse tenuto fede allo spirito e agli Ideali che De Gasperi e amici le avevano dato, non sarebbe finita alla gogna, scansata come un'appestata e ridotta al lumicino. Ormai quello che è stato è stato, non porta a nulla piangere sul latte versato. Giova di più guardare avanti e, riflettendo sulla vita di personaggi che hanno illuminato il nostro pur meritevole passato, recuperare Ideali e Valori per farli diventare fermento e stimolo al nostro Impegno di cattolici in politica. Chi ha una certa età e un briciolo di memoria storica sa quanto De Gasperi sia stato determinante per l’Italia del dopoguerra. Uno storico neutrale come l'inglese Denis Mack Smith non ha dubbi nel definirlo “il più abile capo parlamentare comparso sulla scena politica italiana dopo Cavour, e insieme uno dei più eminenti per altezza di principi”. Insomma, uno statista con i fiocchi per di più ancorato a principi di assoluto valore di democrazia, di libertà, di rispetto, di rigore morale, di onestà... qualità ai nostri giorni tutt'altro che inflazionate... Era il 19 agosto del 1954 quando lo statista morì. Da un anno De Gasperi non era più capo del governo. S'era ritirato nella casa di Selva, dopo che il suo ministero era caduto per l'abbandono dei vecchi alleati della DC, in un clima arroventato dalle polemiche. Poco più di un mese prima di morire, al congresso della DC a Napoli egli aveva dettato quasi un testamento spirituale riaffermando l'impegno democratico e popolare del partito e il più scrupoloso rispetto di tutte le libertà, le quali ritrovano in se stesse energie e strumenti per mantenersi e svilupparsi, se alimentate dal più grande rigore morale. Con De Gasperi, dunque, l'Italia perdeva uno statista intelligente e tenace che nessuno ha sinora saputo eguagliare, un abile <tessitore> che ha mediato con successo tra ideologie e interessi contrapposti nel paese che usciva con le ossa rotte dall'esperienza fascista e dalla guerra, ponendo le basi di una rinascita sfociata nel tanto celebrato . Europeista convinto, con il francese Robert Schuman e il tedesco Konrad Adenauer, scavò le fondamenta di quella Comunità economica e politica di cui stiamo attendendo il compimento. Uomo di grande fede («un democristiano che credeva in Dio», lo definisce Montanelli) senza essere clericale, dalla vita integra; praticante senza ostentazioni e senza essere bigotto, in assoluta fedeltà alle esigenze del vangelo, tanto da indurre oggi qualcuno a richiederne la beatificazione. De Gasperi, che era nato a Pieve Tesino da famiglia modesta quando il Trentino era ancora sotto l'impero, per quarant’anni visse come suddito austriaco, studiando all'università di Innsbruck e facendo il tirocinio parlamentare a Vienna: ciò fece di lui un personaggio inconsueto, anomalo, e fu anche questa -come annota Indro Montanelli- la ragione prima della sua sostanziale solitudine nel partito, nella classe politica e nel paese. Non accettò il fascismo, contro di esso condusse un'opposizione intellettuale e morale, avendo trovato asilo dentro le mura del Vaticano. Aveva ormai sessantadue anni, quest'uomo tutto d'un pezzo, cattolico sui generis, dal profilo culturale e politico inconsueto, quando il paese si affidò a lui per riprendere a vivere e a sperare. E De Gasperi non lo deluse. Abbiamo voluto approfondire il personaggio chiedendo l'aiuto a una delle sue figlie, Maria Romana, che seguì più da vicino la sua esperienza politica. Le abbiamo chiesto:
- Che impressione le ha fatto costatare che il partito creato da De Gasperi è praticamente cancellato, e non solo per via del nome che non c'è più? - Un sentimento di profonda amarezza soprattutto ricordando con quale entusiasmo era nato questo partito. Esso aveva avuto compiti non solo di difesa della libertà, come gli si vuole attribuire oggi in senso limitativo, ma anche di ricostruzione della dignità di un popolo che da sconfitto veniva portato a condividere con i vincitori i frutti di una pace comune.
- Quando, secondo lei, la DC ha imboccato la strada che l'ha condotta ad una fine così ingloriosa? - Quando ci si è dati all'attivismo senza dare più spazio e tempo alla ricerca culturale, alla meditazione sui principi e sulle ragioni che avrebbero dovuto sostenere e illuminare l’azione politica.
- Se potesse fare dei rimproveri a chi li rivolgerebbe? - A tutti coloro che hanno infangato il nome di "democratico cristiano" e anche a chi ha permesso che le cose arrivassero a un punto tale che il cittadino comune fosse portato a credere che la disonestà fosse una prassi ormai accettabile perché diffusa.
- Rileggendo la vita di suo padre c'è un punto in cui egli in qualche modo presagisce che qualcosa andrà storto; ricordo la sua preoccupazione per i giovani (“gli uomini della mia età se ne vanno, quelli di mezzo sono vissuti sotto il fascismo, ai giovani chi ci pensa?”); ma i giovani di allora sono proprio quelli che hanno prodotto lo sbiscio che conosciamo. - Mio padre si preoccupava molto dell'educazione politica e civile delle nuove generazioni. Proprio questo è stato dimenticato o trascurato troppo a lungo.
- Quali sono gli insegnamenti di suo padre che più hanno influito nella sua vita? - La carità nel senso più profondo e più largo della parola.
- Lei ha scritto un bel libro su suo padre: De Gasperi, uomo solo; perché «solo»? - Questo titolo l’ho messo all'ultimo momento anche se immaginavo che avrebbe creato qualche perplessità. La solitudine non è sempre quella dell'uomo del deserto: c'è una solitudine interiore che utilizza la propria coscienza. Avevo pensato, nello scrivere, agli anni di studi così affaticati e lontani dalla famiglia e dagli amici, poi ai vent'anni quando il fascismo lo aveva prima condannato e poi messo da parte, mentre amici e conoscenti che potevano avere le sue stesse responsabilità politiche, lo sfuggivano. Infine chi non ricorda, della vecchia generazione, la sua figura così sola sul grande palco del Lussemburgo quando di fronte a ventuno paesi si alzò a difendere l’Italia sconfitta? La storia si sta accorgendo appena adesso quale era la sua statura morale e politica.
- Lei è stata a lungo a fianco di suo padre, gli ha anche fatto da segretaria: che vita conducevate allora? - La nostra vita era molto normale. Nessuno di noi ha cambiato le proprie abitudini di studio, di lavoro in casa o fuori. Tuttavia, essendo una famiglia abituata molto semplicemente, il primo contatto con il mondo dei giornalisti e dei fotografi ci sembrò ridicolo e molto curioso. Non per nostro padre naturalmente che aveva già una lunga esperienza politica.
- Ricorda dei privilegi per il fatto di essere una De Gasperi?
- Privilegi? A quei tempi non mi pare ce ne fossero; ricordo invece i doveri, le cose alle quali noi ragazze dovevamo rinunciare perché nella vita politica di nostro padre non ci fossero ombre. Ma lo abbiamo sempre fatto con amore.
- È difficile pensare un uomo impegnato come De Gasperi, anche come padre: che tipo di padre era? Era severo? - Era un padre attento ma discreto, molto dolce, ma fermo nell’aiutarci a distinguere il bene e il male. Ha sempre cercato di “sminuzzare per noi il pane della sua cultura così amata e così profonda", come ricorda nei suoi appunti la figlia suora.
- Uno dei vizi che hanno inguaiato la DC sono state le tangenti, i ragali più o meno consistenti che richidevano favori. Suo padre come si comportava al riguardo? - In casa nostra non è mai entrato un regalo che avesse l'aspetto di qualcosa di importante o di valore. Solo i regali dei poveri, dei semplici, venivano accettati, perché altrimenti sarebbe stata un'offesa.
- Che cosa lo addolorava di più? - L’incomprensione, la perdita di un’amicizia per ragioni politiche, la menzogna. Si sentiva offeso quando non si credeva alla sua buona coscienza, vedi il caso Guareschi.
- De Gasperi era anche uomo di fede: come la viveva e come cercava di trasmetterla a voi figli? - Ai principi cristiani scelti nella sua giovinezza tenne fede tutta la vita. Affrontò momenti difficili e avversità con coraggio offrendo e chiedendo aiuto a Dio. Cercò di trasmettere questa fede a chi stava vicino con grande semplicità, con poche parole e molto esempio.
- Tuttavia De Gasperi non fu clericale, vedeva la Dc come partito laico, non confessionale. Per questo non tenne in conto le indicazioni della gerarchia nell'affare Sturzo, e Pio XII lo castigò negandogli l’udienza in occasione del 39° anniversario del suo matrimonio: come visse quel rifiuto? - Ho scritto molte pagine su questo argomento pubblicate sia nel primo che negli altri libri. Non si può riassumere in poche righe, ma posso dire con certezza che pur in mezzo alla sofferenza personale, seppe mantenere quel difficile equilibrio tra il cristiano e l'uomo di governo che doveva rappresentare altre forze ed altre fedi.
- Come reagì quando la Camera votò contro il suo governo? - Da politico qual era se lo aspettava. Aveva accettato di formare questo ultimo governo per spirito di servizio e per dare un esempio di come non ci si deve esimere nemmeno dalle possibili sconfitte quando c'è di mezzo la difesa della democrazia”.
- Mantenne rancore per chi lo tradì o era uno che sapeva perdonare? - In tutta la vita non lo abbiamo mai sentito biasimare chi lo aveva offeso. Più di una volta ha aiutato chi lo aveva in qualche modo tradito. Ha sempre saputo perdonare e dimenticare.
- Che cosa vive del pensiero politico di De Gasperi oggi? Pensa che la sua concezione di politica come servizio onesto, pulito e serio possa riattivare aggregazioni significative in campo cattolico e fuori di esso? Il buon seme gettato ha sempre dato frutti. Basta saper aspettare. “De Gasperi fu un uomo solo: nel partito, nella classe politica e nel paese.” (da L'intervista del mese -Messaggero di Sant’Antonio- Giugno 1994)
Alcide De Gasperi
il 25 aprile 1951 (da "Il Popolo", n. 99, 26 aprile 1951) "In confronto con i neoguelfi di un tempo e la loro illuminata buona fede, abbiamo fatto in forza della esperienza, un altro passo avanti verso la chiarezza: oggi in noi c'è più chiara la distinzione tra la sfera di azione dello Stato e l'azione della Chiesa, fra politica e religione, e non confondiamo una missione con l'altra. E benchè le sappiamo associate nel progresso umano tuttavia distinguiamo responsabilità e funzione. Questa visione delle cose garantisce la possibilità di un rinnovamento di tutte le forme, di tutte le strutture: noi non siamo legati nè alla forma individualista nè a quella socializzatrice. Possiamo, di caso in caso, deciderci per una forma o per l'altra, purchè la sostanza, cioè l'interesse del popolo, sia quello che ci guida. Direi però a coloro i quali non la pensano come noi (si riferisce ai comunisti che avrebbero voluto portare l'Italia nella dittatura sovietica) ma che possono ancora muoversi entro la democrazia, secondo la confluenza generica della nostra tradizione civile: se volete lavorare col popolo non sradicatevi dalla nostra terra che è la vostra patria; non bestemmiate contro i vostri padri, rimanete nell'alveo della nostra storia... E dico agli amici miei: siate tolleranti. Nelle questioni della coscienza siate tolleranti. Quando più siete forti delle vostre convinzioni tanto meno avete disogno di atti scomposti o di biasimare chi pensi diversamente. Tale è la nostra idea politica. Togliatti in sintonia con la direzione dell'URSS così si esprime: "il Governo comunista conquistando il potere, abolisce il capitalismo. Ora che il capitalismo è abolito, esso diventa un crimine, quindi non vi possono essere partiti capitalisti. Vi possono essere ancora, dice Togliatti, degli speculatori, degli agenti dello straniero, dei traditori. (così si giustificavano, da parte dei comunisti italiani, le torture e le condanne a morte che nei paesi comunisti si sono perpetuate a milioni). E allora contro di essi viene condotta la lotta che deve "essere condotta" (Era proprio la giustificazione dei metodi stalinisti, come la scoperta e la confisca di un grande numero di armi detenute dalle cellule operaie a rendere oltremodo pericolosa la vita politica italiana, ed oltremodo difficile il dialogo tra i valori della fede e la collettivizzazione atea, degno di nota fu l'incidente fortuito che costò la vita a diversi operai della FIAT quando saltò in aria un loro deposito di esplosivi). Con questo ragionamento ogni libertà è un delitto, ogni difesa dei propri principi, o dei propri doveri diventa un tradimento, e contro questi traditori, viene condotta la lotta che deve "essere condotta". (Con la gigantesca figura di Alcide de Gasperi, fondatore della Democrazia Cristiana, il cui pensiero politico rimane ancora attuale, condanniamo storicamente il comunismo in tutte le nazioni che l'hanno dovuto subire, come una tra le più criminali e sanguinarie dittature sui corpi, sulle anime e sugli spiriti che la storia dell'umanità abbia conosciuto.) "Bisogna vincere per consolidare in Italia la democrazia; bisogna, questa è la nostra vita, riconquistare giorno per giorno, la vita propria e quella del proprio paese. Amici miei, mi rivolgo ai giovani, specialmente a coloro che non hanno paura, a coloro che sentono l'ardore dell'ideale, a coloro che non si perdono in piccole ambizioni locali,...e che lasciano da parte le discussioni e la discordia. Occorre ormai guardare gli interessi del Paese ed io vi dico: ridestate nella propaganda il senso di responsabilità nelle coscienze. Ridestate questo senso di responsabilita! E lasciate indietro, o giovani, gli egoismi, gli sfruttatori, coloro che portano al sicuro la moneta e gli averi al di là della frontiera. Lasciateli andare; verrà il castigo anche per loro. Lasciate indietro i pavidi, gli incerti, quelli che si perdono per via in piccole beghe, in questioni personali, in questioni locali e tirate innanzi. Amici miei, vi dico una parola sola: avanti per l'Italia e per il suo secondo Risorgimento. (Alcide De Gasperi in discorso pronunciato a Trento il 25 aprile 1951 da “Il Popolo”, n. 99, 26 aprile 1951)
Un uomo che ha fatto della rettitudine il culto di tutta la vita è Alcide De Gasperi, personalità che è ancora da approfondire. Alcide sente che si avvicina la morte, manda subito a chiamare il prete. Si fa aprire dalla figlia il libro delle preghiere, testimone e alleato di tante battaglie vittoriose. La figlia è in ginocchio davanti al suo letto, padre e figlia sono insieme in preghiera, quando Alcide saluta per due volte: “Gesù, Gesù!”, ormai si allontana con Lui. Alcide attraverso la preghiera ha scandito tutta la sua vita, ha vinto tutte le bataglie, ha vinto anche l’ultima battaglia, quella con la morte. La figlia rimane sola con tutto il patrimonio di rettitudine che il padre le ha lasciato in eredità. Chi non lascia questo patrimonio in eredità ai suoi figli è il loro boia. La cattiva ricchezza rimarrà come maledizione per i suoi figli.
Dice il Signore: “Chi si adopera in qualche modo per la mia gloria, chi scioglierà la sua lingua in mia onoranza, avrà il mio gradimento, il mio appoggio, il mio sostegno, e sarò io stesso a parlare per la sua bocca.”
Io desidero, voglio che il Signore penetri nell’anima nostra, in modo da diventare una sola cosa con noi, desidero ci forgi con la sua arte divina, con la sua potenza che non ha limiti, col suo amore che tutto trasforma e santifica.
Vedete, fratelli, quanti esempi tristi si hanno da parte di anime che si allontanano da Dio?
Quanto è deplorevole il contegno di chi si stacca dalla fonte viva, dalla sorgente di vita eterna, da cui emana ogni bene!!
Lungi da Dio l’uomo perde il senso dell’equilibrio, il lume della ragione, si disorienta, ama le cose frivole, è capace di tutto, spesso cade nel baratto dei più nefandi e mostruosi delitti.
L’anima priva del lume divino, del sorriso di Dio, non è capace di amare e si chiude nel più nero egoismo che lo spinge all’odio, alla vendetta, alla disonestà ed a tutto ciò che è riprovevole ed inammissibile.
Perché Gesù è risorto? Per farci intendere che noi dobbiamo risorgere alla Grazia e che il nostro spirito non è destinato a marcire in un sepolcro, ma è chiamato a fini superiori, a balzare fulgido e glorioso (dopo la disfatta del corpo) dalle miserie di questa vita grama agli splendori di una vita beata che non conosce tramonto.
Cristo è risorto per noi per riconfermarci nella fede, rimasta scossa dopo i giorni tristi della sua passione morte.
Avanti, miei cari fratelli, le avversioni, i dolori, le ingiustizie, le incomprensioni umane, non turbino il nostro cuore, ne sminuiscano la nostra fede, ma anzi ci siano di incitamento a maggiormente perseverare nel bene e motivo di conforto perciò attraverso le prove, le anime si purificano e diventano maggiormente care a Dio.
Siamo forti: quanto più ci terremo uniti al Signore, tanto più avremo la forza di vincere le tentazioni che vorrebbero in tutti i modi sbarrarci la strada, per impedire il raggiungimento dei santi ideali.
Siamo tutti fragili, tutti difettosi è vero, perché siamo di creta. Il solo perfetto è Dio, ma non dobbiamo cadere nella sfiducia, nello scoraggiamento, perché Dio non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva. Gesù ha vinto per noi ed è questo motivo di grande speranza. Egli conosce la nostra grande fragilità, le nostre miserie e perdona sempre chiunque si accosta fiducioso e pentito. Coraggio dunque, miei cari fratelli, opponiamo viva resistenza a tutte le seduzioni diaboliche, teniamo dieto al Cristo che dolente ci precede nel duro cammino della vita.
Dio apprezza il bene e lo remunera abbondantemente, ma punisce anche il male col meritato castigo e col rigore della sua infallibile giustizia. Non sempre però fa gravare la sua mano pesante sui colpevoli, ma anzi li abbraccia, dimenticando l’oltraggio patito, quando pentiti invocano la sua clemenza. Siate forti, non vogliate seguire l’esempio dei tristi che non perseverano nel bene e tentano a contaminare anche glia altri.
Che cosa è il mondo? Cosa esso può prometterci? Prima o poi tutto scompare sotto una zolla di terra! Non dobbiamo farci illusioni nella vita!
L’uomo non deve porre in cima ai propri ideali le realtà materiali, perché tutto ciò che è della terra, rimarrà alla terra. Non intendo condannare il progresso scientifico, che anche questo viene da Dio; ma non bisogna farci illusioni nella vita.
Miei fratelli, siamo buoni, avveduti, oculati nelle nostre scelte: non vogliamo acquistare quei beni che un giorno ci dovranno essere tolti. Questi beni materiali non viviamoli egoisticamente, ma a gloria di Dio e a beneficio dei bisognosi. Assicuriamoci il possesso dei beni spirituali che non finiscono col corpo e che accompagnano le anime eternamente. S. Francesco, il poverello di Assisi, era ricco, bello, forte e molto apprezzato per le sue doti personali, amava il divertimento, ballava, sperperava, amava la gloria, ma quando la voce di Dio gli fece intendere che lo voleva tutto per se, Francesco volse le spalle al mondo, gettò con disprezzo le ricchezze, si vestì di un ruvido saio e corse gridando per le vie di Assisi: - Dio mio è mio tutto, Dio mio e mio tutto.
Ecco quale d’evessere la nostra trasformazione! Chi siamo noi? Povere, piccole e fragili creature!
Dio è tutto, il suo potere è infinito, se noi ci affidiamo a Lui, Egli saprà compiere il miracolo della nostra santificazione, sempre s’intende col concorso della nostra volontà che dev’essere ligia al suo volere.
Discorso tenuto dal Sig. Evaristo Madeddu ai suoi confratelli per la circostanza della Pasqua (5-4-1953) nella sede di Serramanna (Sardegna)
Lorenzo UniusREI rappresentante di JHWH è disponibile per costruire il terzo Tempio Ebraico sul Monte degli Ulivi come è già stato annunciato dai profeti.
Questo Tempio aprirà il più bel periodo di pace, prosperità e "risveglio" che il genere umano abbia mai conosciuto, insomma si tratta dell'ultima fase del genere umano dedicata allo Spirito Santo.
Lorenzo UniusREI dedica questo lavoro al suo Dio Spirito Santo.
lorenzo. Unius REI Kingdom @istruzione.it
"Insomma, Dio per tutta l'Eternità non vuole essere lodato e ringraziato per poco, ma per molto, molto e moltissimo!
Non neghiamogli questa felicità, diamogli la possibilità di poter operare prodigi in noi."
lorenzo. Unius REI Kingdom @istruzione.it
lorenzo. Unius REI Kingdom @istruzione.it
più alto simbolo istituzionale OCCULTATO disonestamente e criminosamente al popolo, questo è il VERO motivo di tutti i MALI che affliggono la nostra falsa democrazia venduta dai massoni ai banchieri ebrei dal suo sorgere.
Questo è il più grave Delitto di LESA Maestà e violazione criminale dei principi Costituzionali di base.
Il problema dei nostri giorni non è quello della complessità e che bisogna studiare molto e moltissimo per poter capire qualcosa.
Ma che bisogna saper cercare nella contro-informazione quelle fonti "genuine" che non ci facciano cadere nella "fosso" del depistaggio.
Una schiera sterminata di "mangia pagnotte S.p.A.", ovvero di: funzionari, massoni, politici e di docenti universitari collaborazionisti del signoraggio bancario, ora hanno reso davvero difficile, non solo la comprensione reale della storia nei suoi avvenimenti, ma anche e soprattutto, rendono incomprensibile la stessa realtà che ci circonda.
"sei disposto a sacrificare la vita come me, oppure preferisci dare un contributo economico? Oppure, appartieni al popolo dei vigliacchi e preferisci nasconderti e fuggire dalle tue responsabilità? In questo caso degradante e vergognoso, come potrai sfuggire alle mie maledizioni? E comunque ti parlo così perché sei gia nella trappola di