islamica internazionale

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ARABIA SAUDITA

L'Arabia Saudita possiede una enorme ricchezza petrolifera che produce due terzi delle entrate del governo, denaro che viene usato per migliorare i servizi e le comunicazioni, per sviluppare industrie e per finanziare l'espansione dell'islam nel mondo.

Popolazione:

21.606.691

Religione:

musulmani 92,83%, cristiani 4,54%, non religiosi e altri 1,40%, induisti 0,60%, buddisti e cinesi 0,42%, sikh 0,02%.

L'Arabia saudita è uno stato islamico impegnato nel ruolo di custode dell'islam e dei suoi luoghi sacri. La maggior parte dei sauditi sono sunniti Wahhabi.

Un imponente sforzo missionario islamico è coordinato a La Mecca dalla Lega musulmana mondiale.

Ogni giorno vengono spesi miliardi di dollari per diffondere l'islam nel mondo.

Governo:

monarchia: la famiglia reale allargata controlla strettamente l'amministrazione, la diplomazia e il commercio.

Capo di stato: re Fahd Saud

Persecuzione:

Fino a 1.300 anni fa c'era una grossa comunità cristiana, ma poi i musulmani presero il controllo e tutti i cristiani furono espulsi dal paese.

I dati sulla libertà religiosa e sui diritti umani in Arabia Saudita sono tra i peggiori del mondo.

Si ha notizia che l'Arabia Saudita avrebbe pagato alcune società di pubbliche relazioni negli USA per coprire i pessimi rapporti sui diritti umani nel paese.

Chiunque svolga lavoro missionario o converta un musulmano va incontro al carcere, all'espulsione o alla condanna a morte.

Neanche i cristiani stranieri in visita in Arabia Saudita possono riunirsi per tenere culti.

Opportunità missionarie:

Nonostante la minaccia della persecuzione i seguaci di Cristo resistono e trovano modi innovativi per riunirsi e incoraggiarsi a vicenda.

Arabia Saudita “Il pericolo mondiale!”

POPOLAZIONE: 20.181.000

SUPERFICIE: 2.248.000 kmq

RELIGIONE: Musulmani sunniti: 95,5%, Musulmani sciiti: 3,3%

NUMERO CATTOLICI: 641.000

"Stato islamico la cui religione è l'Islam e la costituzione il Santo Libro di Dio e la Sunnah del suo Profeta", il Regno trae la sua autorità, come recita l'art. 7 dello statuto fondamentale del potere, dal Libro di Dio e dalla Sunnah del suo Profeta, ai quali sono o rimangono subordinate tutte le regole dello Stato, che ha l'incarico di tutelare la fede musulmana, di applicare la shari'a, di ordinare il Bene e di vietare il Male, oltre che di diffondere l'islam e assicurare la da'awa, cioè la pratica del proselitismo islamico.

L'art. 26, che regola i diritti dell'uomo, li intende applicabili limitatamente all'ambito della shari'a.

I cittadini sauditi sono obbligatoriamente musulmani.

La legge saudita proibisce ai non musulmani di riunirsi per motivi legati alla propria fede religiosa.

Nel territorio del Regno, secondo l'agenzia "Compass" del 17 gennaio 2000, vi sono almeno sei milioni di immigrati non musulmani ai quali è negato ogni diritto a praticare la propria fede, pur essendovi eccezioni per gruppi numericamente insignificanti.

Negli ultimi due anni, almeno 130 immigrati cristiani sono stati messi in prigione, privati del lavoro ed espulsi dal Paese sulla base di accuse di "attività cristiane". Il 6 luglio scorso a Riad, informa "Droits de l'homme sans frontières" del 16 novembre 1999, è accaduto al ventiquattrenne filippino Arsenio Enriquez Jr., cameriere di un ristorante della capitale dal 1993, arrestato dopo una perquisizione domiciliare, in cui è stata trovata una Bibbia.

In carcere ha potuto ricevere soltanto la visita di un amico e spedire una lettera alla propria famiglia.

Barbara G. Baker, per l'agenzia "Compass Direct" del 22 dicembre 1999, riferisce dell'arresto di un ingegnere filippino, Edmar Romero, detenuto dal 1° dicembre perché sospettato di svolgere attività cristiane. Durante la perquisizione avvenuta nell'abitazione dell'arrestato è stata sequestrata una bibbia.

Le indagini sono partite con il sequestro, avvenuto due mesi prima da parte della muttawa (la polizia religiosa saudita), di un elenco di nominativi durante un'incursione in un luogo di culto clandestino.

In quell'occasione, l'8 ottobre, sono stati interrogati 267 fedeli e 13 di loro sono stati arrestati ed espatriati, dopo un'ingiunzione ai loro datori di lavoro affinché li licenziassero.

Romero, liberato il 13 gennaio 2000, ha contestualmente perduto il lavoro e gli è stata comunicata l'ingiunzione a lasciare l'Arabia Saudita entro tre settimane dalla scarcerazione.

Intanto, dal 7 gennaio 2000, dopo un'irruzione in una casa privata dove erano riuniti un centinaio di cristiani, sono stati detenuti dieci adulti e cinque bambini filippini: i coniugi Art e Sabalista Abreu e i loro figli Kristel, dodicenne, Aaron, di dieci anni e Keilah, di due.

Con loro erano stati arrestati anche Dick Mira Velez, Disdado Cadoy, Jun ed Evelyn Vinegas e i loro figli, Paul, di sei anni e John, di quattro, oltre a Rubino Sulit, George e Elen Rivera, e Eminesio Rabea. La loro liberazione è avvenuta in due tempi, come informa l'agenzia "Ansa" del 28 gennaio 2000, nei giorni 19 e 23.

Fonti filippine a Riad hanno rivelato all'agenzia "Compass" (17.1.2000) che i minori sono utilizzati come arma di ricatto dalla polizia religiosa per ottenere informazioni sulla rete di immigrati filippini cristiani e sulle loro attività di culto.

Altrettanto proibita è la religione baha'i, definita dall'Accademia di Diritto Islamico dell'Arabia Saudita "una scissione dell'islam e una guerra contro di esso".

Chiunque vi aderisca è considerato kafir, cioè privo di ogni diritto.

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Albania

La nuova costituzione garantisce la libertà reliosa.

Giungono da parte dell'Arabia Saudita grossi finanziamenti per costruire Moschee e per la diffusione dell'Islam.

Negli ultimi due anni, però molte chiese ortodosse e monasteri sono state danneggiate e profanate da persone non identificate.

Non sono state danneggiate le strutture islamiche.

Prima di questi massicci investimenti dell'Arabia Saudita non si registravano fenomeni di violenza ma di amicizia e collaboazione.

Da ACS situazione in percentuale della popolazione:

musulmani 70%

ortodossi 20%

cattolici 10%.

http://www.infinito.it/utenti/lorenzo.

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Sito più aggiornato:

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Mi è capitato di leggere un articolo che parlava dell’alleanza tra islam e comunismo, ma avendo giudicato la notizia bizzarra, misi da parte l’articolo.


Infatti, pensavo che dove c’è il comunismo non ci sono religioni, e dove c’è il fondamentalismo islamico non può esservi il comunismo.

L’articolo, inoltre, era per me difficile da digerire perché mi mancavano queste nuove categorie concettuali.

Capita a tutti, quando ci troviamo di fronte a concetti assolutamente nuovi, di trovarci in difficoltà.

Inoltre, dilatare le nostre categorie, o modificarle costa sempre una certa fatica.

Ma quando la brigatista Lioce ha affermato che naturali alleati delle Brigate Rosse sono gli islamici, mi si è accesa una lampadina e sono andato a ricercare quell’articolo che così frettolosamente avevo disprezzato e ve lo ripropongo senza commenti.

Una cosa che saltava agli occhi di questo “Osservatorio sul martirio dei cristiani”; è quello che, sia gli islamici che i comunisti, ancora oggi uccidono i cristiani!

Sono forse attualmente coalizzati per dare il colpo di grazia alla civiltà cristiana?

Articolo tratto da Tradizione Famiglia Proprietà

Anno 7, n. 34 set. Nov. 2001

“El islamismo, relevo del comunismo” – vignetta pubblicata su El Pais, nel 1992.

Pensatori socialcomunisti vanno da tempo affermando che il fondamentalismo islamico è succeduto al marxismo come motore della lotta di classe.

La nuova lotta di classe

Tramonto della minaccia sovietica

Prima del 1990, gli occidentali erano abituati a considerare il comunismo come un'ombra colossale incombente sui rapporti internazionali e sulla vita interna di ogni paese. Sul panorama mondiale aleggiava la costante minaccia di un'aggressione sovietica, che facilmente avrebbe potuto degenerare in guerra nucleare.

Un'abile propaganda sfruttava questa situazione, incutendo negli occidentali il panico di una tale ecatombe, mentre sussurrava che l'unico modo di evitarla sarebbe stata una politica di concessioni.

In tal modo si rafforzava ulteriormente le possibilità dell'URSS di esercitare una pressione psicologica per mezzo del ricatto nucleare.

All'interno di ogni paese c'era poi la costante pressione della propaganda marxista, promossa dai partiti comunisti locali comandati da Mosca.

C'era perfino la possibilità che un trionfo elettorale dei comunisti collocasse ipso facto il paese nell'orbita del Cremlino, per non parlare dei movimenti guerriglieri e terroristici spalleggiati da Mosca.

Per questi ed altri motivi, la minaccia comunista occupava un

posto fondamentale nel panorama mentale dell'uomo moderno.

A un dato momento, questa minaccia è svanita. Il Muro di Berlino è stato abbattuto ed è finita la "guerra fredda" fra la NATO ed il Patto di Varsavia.

Uno ad uno quasi tutti i vecchi governi comunisti hanno ceduto, sostituiti da regimi più o meno democratici che dicevano di voler attuare riforme di stampo liberista.

Le due Germanie si sono unificate sotto l'egida di quella occidentale. L'URSS si è sgretolata.

Il PCUS, punta di lancia della rivoluzione mondiale, ha votato la sua "autodissoluzione" ed ha adottato un altro nome.

Come obbedendo ad un ordine preciso, i partiti comunisti occidentali hanno seguito le orme del loro padrone, rinnegando il passato marxista e cambiando a loro volta di nome.

Così, nonostante la precaria sopravvivenza di "dinosauri" come Fidel Castro, nel breve spazio di due anni, il mostro che aveva tenuto il mondo col fiato sospeso per più di mezzo secolo, sembrò svanire nel nulla.

La spaventosa miseria del comunismo

II problema del comunismo, come ogni problema sociopolitico, aveva un aspetto dottrinale ed uno pratico.

Si trattava non solo di sapere se l'insieme di dottrine conosciute come marxismoleninismo fosse valido o meno a livello teorico, ma anche di sapere se la loro applicazione avesse ottenuto risultati soddisfacenti.

Se il comunismo fosse stata la panacea pretesa dai suoi alfieri, come spiegarne l'eventuale fallimento concreto?

Gli occidentali avevano appena una vaga idea della miseria causata dal comunismo in Russia.

Abbattuta la "Cortina di ferro", si è invece rivelato agli occhi di tutti il clamoroso fallimento dell'esperienza sovietica.

Per la prima volta il mondo ha potuto constatare la spaventosa eredità del comunismo: una situazione di miseria e di oppressione quale il mondo non aveva mai visto, e che il Cardinale Ratzinger ha giustamente qualificato come "la vergogna del nostro tempo".

Questa constatazione ebbe un immediato riscontro in campo ideologico: apparve chiaro al buon senso dell'opinione pubblica che l'utopia comunista era irrealizzabile.

Di fronte al clamoroso fallimento del socialismo reale, come potevano mai i comunisti continuare a difendere le loro dottrine?

Così alla disfatta politica si aggiunse pure quella ideologica, scatenando all'interno dei vari PC una crisi d'identità non ancora risolta.

La morte delle ideologie

Questa duplice disfatta delle correnti comuniste si situa all'interno d'un panorama più ampio:

la "morte delle ideologie".

Da tempo dilaga nello spirito dell'uomo occidentale un tremendo indifferentismo morale, provocato dall'erosione del principio di non contraddizione, principio fondamentale e supremo del pensiero umano.

Si parla perfino del tramonto dell'uso di ragione.

Si diffonde un nuovo tipo umano incapace di interessarsi a ciò che oltrepassa il suo campo individuale, incapace quindi di emettere un giudizio profondo sugli avvenimenti, ridotto a un coacervo di emozioni, di umori e di reazioni istintive.

Questo tipo umano presenta un grave problema anche per la sinistra, che si ritrova di colpo impossibilitata a mobilitare come prima le masse per le sue cause rivoluzionarie.

Morto il comunismo come ideologia e distrutta la sua base operativa, come articolare un nuovo movimento rivoluzionario internazionale, tenendo conto anche di questa atonia ideologica?

Occorreva ricostituire un certo quadro generale di fronte al quale le persone potessero essere sollecitate a schierarsi e scendere in campo.

Ritorna la lotta di classe?

Un primo tassello della risposta è quello che si potrebbe definire il riciclaggio della lotta di classe.

Secondo il marxismo, la società moderna era divisa fra i proprietari dei mezzi di produzione (i borghesi) e quelli che ne erano privi (i proletari), costretti perciò a vendere il loro lavoro ai primi.

Da questa divisione scaturiva necessariamente un antagonismo, la lotta di classe, ritenuta il motore del processo rivoluzionario.

Secondo questo mito, i borghesi sarebbero diventati sempre più ricchi e i proletari sempre più poveri.

Pari passu, l'antagonismo si sarebbe fatto sempre più aspro fino all'esplosione finale, culminando nella rovina dell'ordine borghese e nell'instaurazione della dittatura del proletariato.

La storia si è successivamente incaricata di sfatare questo mito.

Nell'Occidente capitalista il proletariato ha migliorato la sua situazione economica fino a diventare in pratica un'agiata classe media; nel mondo socialista, invece, il capitalismo di Stato non ha prodotto altro che miseria e oppressione.

Lungi dal!'ammettere il fallimento di questo mito, i rivoluzionari lo hanno sostituito con un altro: una nuova tensione, più profonda, fra Sud (paesi poveri) e Nord (paesi ricchi) al posto della tensione Est-Ovest.

All'antico antagonismo fra proletariato e borghesia a livello nazionale, e fra mondo comunista e mondo libero a livello internazionale, è subentrato questo nuovo antagonismo.

Da questa prospettiva sparisce, almeno apparentemente, qualsiasi connotazione ideologica. Si tratta, dicono, d'una situazione di fatto: alcuni paesi sono poveri, altri sono ricchi. I primi producono materie prime a basso prezzo; i secondi le acquistano e le trasformano in prodotti industriali che poi vendono a prezzi maggiorati.

Si stabilisce così un circolo vizioso per il quale i poveri diventano sempre più poveri ed i ricchi sempre più ricchi. Questa crescente tensione sfocerà nello scontro fra i due mondi, dal quale uscirà vincente il Sud.

Si instaurerà un ordine economico internazionale più "giusto", dove le ricchezze saranno ridistribuite e finalmente

regnerà l'uguaglianza.

Nel frattempo, i poveri avranno avuto diritto a partecipare direttamente all'abbondanza dei ricchi, trasferendosi nei loro

paesi.

Ed ecco la giustizia intrinseca che ci sarebbe negli enormi flussi migratori degli ultimi tempi.

L'insediamento di queste masse umane, non più assimilabili dalla cultura locale come una volta, crea delle vere e proprie colonie del Sud nelle cittadelle del Nord.

Queste colonie tenderanno solo a crescere, visto il loro alto tasso demografico.

Oltre a destabilizzare la vita interna dei paesi ospitanti, a giudizio degli alfieri di questa nuova visione, queste colonie potrebbero eventualmente fornire masse di manovra per moti rivoluzionari.

In casi estremi, alcuni paesi del Nord potrebbero perfino perdere la loro identità culturale e storica.

Questa prospettiva offre alla sinistra un valido pretesto per mobilitare i suoi militanti e reclutare compagni di viaggio.

L'intensa carica sentimentale dell'obiettivo, alimentata dalle agghiaccianti fotografie di squallide favelas, scheletrici bambini africani e via dicendo, permette alla sinistra di risparmiarsi la seccatura della persuasione ideologica, rivolgendosi direttamente al cuore delle persone.

Un'ideologia innominabile

Gli alfieri di questa nuova prospettiva dichiarano che in essa non c'è nulla di ideologico, e dunque niente di programmato, in quanto non sarebbe altro che il risultato di una situazione di fatto: lo squilibrio economico mondiale.

Per cominciare, questa analisi ci sembra troppo semplicistica.

Essa non prende in considerazione i motivi della povertà dei paesi del Sud.

Molti di questi paesi, ricchi di risorse naturali, sono poveri per via della disastrosa applicazione di programmi di stampo statalista.

Perché non se ne fa mai menzione?

Forse perché in tal modo si aprirebbe lo spiraglio di una possibile soluzione? C'è da augurarsi, infatti, che, abbandonando i disastrosi accentramenti economici e amministrativi e applicando invece le formule che hanno funzionato bene al Nord, questi paesi possano svilupparsi.

Ma allora essi non sarebbero più il "Sud", si imborghesirebbero e la sinistra potrebbe rimanere ancora una volta senza massa di

manovra...

Desta poi meraviglia l'ampiezza del termine "povero".

Gli alfieri di questa nuova prospettiva mettono sullo stesso piatto indigenza e povertà.

Si tratta, invece, di due situazioni molto diverse.

Nel caso di un paese indigente, l'aiuto dei paesi ricchi sarebbe un imperativo di giustizia, giacché il diritto delle popolazioni a vivere in condizioni di dignità prevale sul diritto dei paesi ricchi a godere dell'abbondanza.

Ma fin dove deve spingersi l'imperativo, quando si tratta di un paese appena povero?

Anzi, cosa vuoi dire povero? Secondo loro, è povero non solo chi ha troppo poco, ma chi ha meno di altri.

Solo in questo senso relativo si potrebbe applicare il termine a paesi come Brasile, Argentina o Messico.

Ma allora si cominciano a intravedere i lineamenti di una soggiacente ideologia.

Essa si può così riassumere: è ingiusto che vi siano paesi ricchi e paesi poveri, così come è ingiusto che vi siano classi ricche e classi povere.

In altre parole, è ingiusto che vi siano disuguaglianze.

Perciò, al di là dei pretestuosi motivi economici, questa rivoluzione è ispirata al principio dell'egualitarismo — cioè alla stessa essenza del comunismo — che sussiste sentimentalmente nel cuore di milioni di persone.

Siamo quindi in presenza di una ideologia innominabile.

Ecco quindi delineati i contorni di una autentica rivoluzione mondiale in preparazione, proprio quando il comunismo sembrava morto.

Difatti, pochi si accorgono dell'ispirazione neomarxista di questa rivoluzione, giacché il comunismo è stato ufficialmente dichiarato morto...

"Si rischia una guerra di classe da fare impallidire il ricordo delle lotte sociali che fin qui hanno punteggiato la storia moderna", ammonisce Eugenio Scalari.

Articolo tratto da Tradizione Famiglia Proprietà

Anno 7, n. 34 set. Nov. 2001

“El islamismo, relevo del comunismo” – vignetta pubblicata su El Pais, nel 1992. Pensatori socialcomunisti vanno da tempo affermando che il fondamentalismo islamico è succeduto al marxismo come motore della lotta di classe.

Il neoproletariato

A questo punto qualche ottimista incallito potrebbe ingenuamente replicare: "Ma non dobbiamo preoccuparci! Cosa possono un pugno di straccioni contro l'immensa potenza economica, politica e, se fosse il caso, anche militare dell'Occidente?"

Il nostro ottimista però non prende in considerazione un elemento fondamentale della situazione:

l'esistenza di partigiani del Sud nelle roccaforti del Nord. Chi sono costoro?

Risponde Francesco Alberoni:

"II neomarxismo rivoluzionario si differenzia da quello precedente perché non fa più riferimento al proletariato, ma alle 'moltitudini', cioè ai poveri, gli emarginati, i dissenzienti di tutto il mondo".

Ed egli passa quindi ad elencarne alcune componenti:

"Per ora il popolo di Seattle eterogeneo, vi si esprimono preoccupazioni ecologiche per l'inquinamento, l'effetto serra, i prodotti transgenici, tensioni dovute al mercato globale, richieste di protezionismo, domande dei più poveri, pressioni per l'immigrazione, appelli religiosi all'uguaglianza".

Questo popolo è, infatti, eterogeneo. Però, come abbiamo accennato all'inizio, considerato sotto l'angolazione che in seguito illustreremo, vi si può rilevare una profonda coerenza.

L'allargamento del concetto di "oppressione"

Pur nella loro ampia varietà, le ideologie rivoluzionarie conservano sempre un nucleo in comune: l'idea d'una "liberazione" da una certa situazione di "oppressione".

Nel marxismo l'oppressione era fondamentalmente quella economica esercitata dai borghesi ai danni dei proletari.

Le oppressioni politiche e sociali erano considerate "emanazioni" di questa.

Ma già dagli anni Trenta pensatori comunisti come Antonio Gramsci e i tedeschi della cosiddetta scuola di Francoforte cominciarono a sviluppare una teoria molto più ampia e sofisticata: l'oppressione culturale.

Secondo questa teoria, la borghesia opprime i proletari non solo perché possiede i mezzi di produzione, ma anche perché "fabbrica" la cultura dominante.

Senza nemmeno accorgersene, i proletari sarebbero costretti a vivere dentro una cornice culturale modellata dalle classi dirigenti, vale a dire tutto un sistema di valori, di criteri e di modi di essere orientati alla conservazione dello status quo.

Così come i borghesi sarebbero i padroni dei corpi dei proletari perché acquistano il loro lavoro manuale, attraverso la cultura sarebbero anche i padroni delle loro menti.

La cultura si sarebbe dunque trasformata in un'arma di oppressione molto più profonda e terribile di quella economica, giacché soggiogherebbe lo stesso spirito.

Secondo questa prospettiva, la "liberazione" non sarà totale finché il proletariato non ripudierà la cultura dominante.

E questo può avvenire solo con un profondo cambiamento di mentalità, e anche di temperamento, nel quale egli espunga da sé la cultura degli oppressori, adottando una "coscienza critica" nei loro confronti, che naturalmente tenderà a sfociare nella ribellione.

Ed ecco il germogliare di una galassia di controculture, come quelle dei Centri sociali, dove si formano i militanti della nuova rivoluzione, liberi da condizionamenti culturali borghesi.

Qualche anno dopo, teorici rivoluzionari come Wilhelm Reich e Herbert Marcuse hanno cominciato a lanciare l'idea di oppressione morale.

Ispirati al freudismo più radicale, questi ideologi affermano che l'uomo ha il diritto di soddisfare ogni suo impulso senza dover subire nessuna coercizione.

L'unico limite sarebbe il rispetto per il diritto degli altri.

Questa teoria, inizialmente conosciuta come "freudomarxismo", trova nel "vietato vietare" sessantottino la sua formulazione essenziale.

Per i freudomarxisti non basta "liberarsi" dalle strutture economiche, politiche, sociali e culturali.

C'è un'altra rivoluzione molto più importante da fare, questa sì fondamentale: la distruzione della gerarchia interna nell'uomo, in virtù della quale la Fede illumina la ragione e questa guida la volontà, che a sua volta domina la sensibilità.

Questa rivoluzione propugna una radicale liberazione della sensibilità e degli istinti contro gli inferiori freni inibitori imposti da secoli di cultura e di civiltà, che sanciscono il dominio dell'intelligenza e della volontà sulle passioni.

Propugna quindi una rivoluzione finalizzata a distruggere le istituzioni che perpetuano socialmente quest'ordine morale, a cominciare dalla famiglia monogamica ed indissolubile, ritenuta l'origine di tutte le nevrosi moderne.

Perciò una delle sue principali rivendicazioni è proprio l'illimitata libertà sessuale.

Per sua stessa natura, questa esplosione passionale che ne deriva tende a trascinare nel vortice della lotta contro ogni autorità e "repressione" tutte le attività e tutti i rapporti umani: nella famiglia, ne lavoro, nella scuola, nell'economia, nella cultura, nella politica e via dicendo.

Più recentemente si, sta facendo strada un'altra idea, ancor più vaga e struggente: quella di una sorta di oppressione psicologica.

Secondo questa idea, pur in mezzo alla prosperità materiale, l'uomo contemporaneo è afflitto da un profondo e multiforme malessere.

Questo malessere sarebbe da attribuirsi all'ipertecnicismo della società industriale, che ha finito col rompere certi equilibri naturali, producendo un ambiente ostico all'uomo.

Insomma, la modernità sarebbe profondamente malata.

Sarebbero riconducibili a questa causa lo stress della vita moderna, le paure per i cibi transgenici, il degrado dell'ambiente, le svariate nevrosi che affliggono gli abitanti delle grandi città, e così via.

Ed ecco che, per "liberarsi" di questo malessere, dilagano pratiche orientaleggianti, come lo yoga, nonché diverse abitudini alternative alla moderna società occidentale.

La propaganda neorivoluzionaria si farà tentare anche dal desiderio di sfruttare gli islamici come nuova categoria discriminata dopo gli attacchi dell'11 settembre, cercando di sommare la loro forza a quella della contestazione anti-occidentale?

E questa l'idea soggiacente, per esempio, alla sinistra ambientalista, che nelle sue frange più radicali propone addirittura la fine della civiltà moderna ed il ritorno a forme primitive di vita, in nome di un ritrovato equilibrio mentale ed ecologico.

La rivoluzione totale di un nuovo proletariato multiforme.

Sfruttando queste ed altre idee, la neorivoluzione supera gli schemi marxisti, che abbracciavano il campo economico, e quindi quello politico e sociale, per contestare radicalmente e allo stesso tempo tutte le forme di autorità e di coazione legale, morale o psicologica, in ogni campo e in ogni forma.

“l'Occidente nella tenaglia”

Spunta così la rivoluzione totale.

Questa rivoluzione, spiega il teorico neomarxista francese Pierre Fougeyrollas, "significa veramente una rivoluzione nella maniera di sentire, agire e pensare, una rivoluzione nelle maniere di vivere (collettivamente ed individualmente), insomma una rivoluzione della civiltà".

Alla "oppressione culturale" si contrapporrebbe una "rivoluzione culturale".

Secondo il copione marxista, la Rivoluzione avrebbe dovuto ricevere impulso prevalentemente dai proletari in rivolta contro l'oppressiva società capitalista.

Nella neorivoluzione, questo proletariato viene affiancato da una sorta di nuovo, variegato "proletariato" socioculturale, composto da quelle categorie che, indipendentemente della loro situazione economica o sociale, si ritengono in qualche forma discriminate da fattori di un qualunque tipo: morali, culturali, psicologici, razziali, religiosi, ecc.

Così le femministe si sentiranno discriminate dalla "cultura maschilista"; gli omosessuali si sentiranno discriminati dalla morale cristiana; gli immigrati dalla "xenofobia"; i drogati dalla legislazione proibizionista; le prostitute dal rifiuto sociale nei loro confronti; le minoranze etniche dal "razzismo"; i libertini si sentiranno oppressi da una società piena di regole; i nudisti dai "preconcetti borghesi" e via dicendo.

La propaganda neorivoluzionaria si farà tentare anche dal desiderio di sfruttare gli islamici come nuova categoria discriminata dopo gli attacchi all'America dell'11 settembre 2001, cercando di sommare la loro forza a quella della contestazione anti-occidentale?

Secondo il nuovo copione, ogni categoria di emarginati dovrà scrollarsi di dosso i fattori di oppressione che concretamente gravano su di essa, ponendosi alla testa, ognuna nel suo campo, di una lotta liberatrice.

Per la naturale sinergia fra tutte queste "liberazioni", avremo quindi la rivoluzione totale di cui sopra.

Questo mutamento di Rivoluzione implica anche una trasformazione delle strutture che la promuovono.

Nella nuova prospettiva, il Partito comunista, come organizzazione politica, "dogmatica" e rigidamente articolata, viene superato.

Le forze della neorivoluzione non si organizzano in partiti politici ma in "reti", ossia in gruppi di pressione che si muovono piuttosto in campo sociale e culturale, adottando spesso nomi ingannevoli, stabilendo coalizioni flessibili che si formano e si sciolgono al ritmo degli avvenimenti.

L'uso di Internet permette a queste reti di comunicare in modo alquanto fluido e veloce.

Il ruolo di queste reti non sarebbe quello di imporre un'ideologia, ma di acuire le tensioni etniche, morali, culturali, sociali e via dicendo; di "liberare" le energie rivoluzionarie latenti nelle varie categorie discriminate, e poi di coordinarne gli effetti disgreganti, finalizzando il tutto alla distruzione di quanto resta della civiltà cristiana.

Nel loro insieme, queste reti svolgerebbero per la neorivoluzione un ruolo non molto diverso da quello svolto dal Komintern ai tempi della rivoluzione comunista.

L'assenza d'un organo centrale darebbe poi l'illusione di movimenti piuttosto spontanei.

Questo punto va sottolineato.

Più di un commentatore ha argomentato che per l'assenza di una ideologia fondante, nonché di una proposta alternativa e di un coordinamento politico, i fatti di Genova non avrebbero il carattere di vera e propria rivoluzione.

A nostro parere, essi non tengono nella dovuta considerazione tutta la portata dei cambiamenti nel processo rivoluzionario.

Nell'agosto 1991 i leader delle varie reti si riunirono a Ginevra per cercare di "stabilire le basi d'un movimento mondiale che annoveri ONG 19, movimenti popolari, centri sociali e simili".

Qualcuno parlò addirittura di formare una "Quinta Internazionale".

Ma non è facile mobilitare persone contro un "sistema" troppo vago.

Mancava un patente - casus belli - che permettesse a questa eterogenea accozzaglia di coagularsi e scagliarsi contro un nemico concreto.

L'occasione fu servita su un piatto d'argento nel 1992. Preoccupata per gli effetti di un eccessivo sviluppo industriale sull'ambiente, l'ONU aveva convocato un "Vertice della terra" (Earth Summit) per esaminare il problema al più alto livello.

Tenutasi a Rio de Janeiro, la II Conferenza delle Nazioni Unite sull'Ambiente e lo Sviluppo (UNCED, nell'acronimo inglese) è stata forse la maggior assise della storia, con 118 capi di Stato, 4.000 ministri e sottosegretari di 170 paesi, nonché rappresentanti di 50 agenzie intergovernative.

Mentre l'UNCED si riuniva in un centro convegni fuori città, nel Parque do Flamenco, sul lungomare carioca si teneva un "vertice alternativo" e non meno affollato: il Global Forum of NGOs and Social Movements (Forum Globale delle ONG e dei Movimenti Sociali).

Presentandosi come la voce di tutti gli scontenti, gli emarginati, ed i contestatori dell'attuale ordine

TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / SETTEMBRENOVEMBRE 2001 – articolo pubblicato integralmente e senza commenti.

internazionale, il Global Forum radunò parecchie migliaia di persone in un immenso happening che si protrasse per una settimana.

Vi erano rappresentate più di 800 ONG di 150 paesi.

Fu un primo tentativo riuscito di articolare questa variopinta "quinta internazionale".

Il vertice di Rio si prefiggeva di esaminare un problema cruciale per l'umanità: l'attuale modello di sviluppo industriale è compatibile col corretto uso delle risorse naturali?

Oppure, l'eccessiva industrializzazione dei paesi ricchi sta svuotando le risorse e producendo anche un inquinamento che nuocerà alle generazioni future?

In questo caso, non converrebbe ridurre il ritmo di sviluppo dei ricchi e abbassare il loro tenore di vita per conservare meglio l'ambiente?

Così tutti, anche i poveri, potrebbero usufruire equamente

delle risorse.

Ecco come l'allora Primo Ministro di Norvegia Grò Harem Bruntland, vicepresidente dell'Internazionale Socialista nonché primadonna dell'UNCED, enunciava il problema: "Dobbiamo cambiare radicalmente i criteri di consumo e di produzione.

Dobbiamo chiedere ai paesi sviluppati di cambiare il loro modello ormai inaccettabile. (...)

Dobbiamo ammettere che noi, paesi industrializzati, abbiamo aumentato il nostro livello di vita abusando delle risorse naturali.

(...) E adesso non possiamo dire al Terzo Mondo: pagate voi il conto. Siamo noi che dobbiamo pagare".

Perfetto casus belli: un pugno di paesi industrializzati che, per incrementare il loro già altissimo livello di vita, saccheggiano le risorse naturali del pianeta a danno dei più poveri, i quali per giunta ne devono pagare le conseguenze anche in termini di inquinamento!

E mentre i paesi ricchi, con a capo gli USA, difendevano a

spada tratta il loro modello di sviluppo, il Global Forum insorgeva contro questa "ingiustizia planetaria".

Il suo tono lo possiamo dedurre dal proclama rivolto ai convenuti da Femando Gabeira, ex-terrorista rosso e presidente del Partito Verde brasiliano: "Da questo raduno scaturirà una guerra fra il Nord ed il Sud del pianeta.

L'inquinamento, la deforestazione, la sovrappopolazione e il buco dell'ozono saranno le armi di questa lotta".

La neorivoluzione aveva individuato il nemico.

Da Seattle al World Social Forum di Porto Alegre:

la neorivoluzione prende fiato

Negli anni successivi a Rio, gli alfieri di questa "quinta internazionale" si dettero a definire meglio il bersaglio, nonché a escogitare i mezzi per colpirlo.

Correggendo leggermente il tiro, lasciarono scivolare a un secondo piano il discorso ambientalista — troppo soggetto a complicate discussioni scientifiche e comunque non atto alla mobilitazione delle masse — e puntarono il dito contro il nuovo spauracchio: la globalizzazione.

Secondo questa visione, il mondo è governato dai paesi ricchi capeggiati dai cosiddetti G8.

Essi manipolano i fili dell'economia e della finanza attraverso le aziende multinazionali.

Per perpetuare questa situazione di privilegio hanno creato una serie di istituzioni che dettano le regole del commercio e della finanza internazionale, come la World Trade Organisation e il World Economie Forum, nonché istituzioni che possono intervenire ovunque, come il Fondo Monetario Internazionale, sempre, è chiaro, in difesa dei loro interessi.

Questo strapotere economico conferisce loro anche il dominio politico nonché l'egemonia culturale.

La globalizzazione non sarebbe altro che un processo atto a consolidare e accrescere questo potere ai danni dei poveri del pianeta.

Non è nostro proposito discutere in questa sede quanto sia giusto o meno un ordine internazionale "globalizzato".

Siamo comunque convinti che qualsiasi ordinamento che espropri le nazioni della loro legittima sovranità e i popoli delle loro identità culturali e anche religiose, non può essere ammissibile dal punto di vista della dottrina sociale della Chiesa alla quale facciamo riferimento.

Anche se il libero commercio deriva dal l'ordine naturale e, nelle attuali circostanze, non può non produrre una certa internazionalizzazione dei rapporti umani, questo resta un punto fermo.

Ma il fatto, è che i neorivoluzionari non sono contro la globalizzazione, ma contro una determinata globalizzazione:

quella capeggiata dai paesi industrializzati.

"[Questi ideologi], presentano proposte teoriche e pratiche che permetterebbero di visualizzare una globalizzazione di nuovo tipo, — spiega il giornale parigino Le Monde — [essi] tentano di lanciare le basi di un'altra globalizzazione".

Sarebbe, nelle parole di un commentatore, "una globalizzazione dal volto umano".

World Social Forum di Porto Alegre, "l'atto costitutivo della Quinta Internazionale".

Una prima occasione di confronto con questo nemico fu offerta dalla riunione della WTO a Seattle (USA), nel novembre 1999.

Con un perfetto coordinamento, che lascia intravedere un'abile regia internazionale, decine di migliaia di militanti della "quinta internazionale" — che nel frattempo aveva abbandonato la sigla Global Forum — calarono sulla città statunitense per una catena di proteste "pacifiche".

Puntualmente, queste proteste degenerarono nei più violenti scontri dai tempi della guerra di Vietnam, che lasciarono il centro di Seattle devastato e riuscirono perfino a bloccare la riunione della WTO.

Le sinistre di tutto il mondo insorsero contro la "prepotenza" della polizia, e infuocate manifestazioni antiglobal si verificarono un po' ovunque.

A Ginevra, 5000 per sone bloccarono la sede centrale della WTO, mentre a Londra violenti scontri scoppiarono davanti a Euston Station.

Era nato il "popolo di Seattle".

Seguirono altre manifestazioni, tra le quali bisogna ricordare quella di Genova, nel maggio 2000, contro una conferenza di aziende nel settore della biotecnologia.

Per la prima volta fecero irruzione le "tute bianche", armate con manganelli, maschere da gas, scudi ed altri attrezzi che non lasciavano dubbi sul fatto che i militanti della "quinta internazionale" si addestrassero alla guerriglia.

A settembre toccò a Praga, dove migliaia di manifestanti protestarono contro la riunione annuale del Fondo Monetario Internazionale, scontrandosi con la polizia e causando ingente danni.

Stesso copione a Nizza, in dicembre.

Ma il vero atto costitutivo di questa "quinta internazionale" è stato il World Social Forum, convenuto nella città brasiliana di Porto Alegre nel gennaio 2001 in concomitanza con la riunione a Davos, Svizzera, del World Economie Forum.

E interessante rilevare che fra gli organizzatori del Social Forum troviamo molti reduci dal Global Forum del 1992, il che ne evidenzia la continuità.

Non è questa la sede per farne un'analisi approfondita, rileviamo appena qualche spunto utile per la nostra tesi.

Del World Social Forum hanno partecipato più di 1.500 ONG, movimenti sociali e gruppi "alternativi" di tutto il mondo, per un totale di 15.000 persone provenienti da 122 paesi.

Il membro italiano del Comitato organizzatore era Vittorio

Agnoletto, che poi ritroveremo a Genova a svolgere il ruolo di portavoce della contestazione.

L'elenco dei partecipanti ci offre uno squarcio della estrema complessità del neoproletariato: dai guerriglieri colombiani delle FARC (Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia) ai membri del PROUT, un movimento indiano che promuove la fusione fra marxismo e yoga; dai teologi della liberazione latinoamericani all'agitatore francese José Bove; dalla delegazione del governo comunista di Cuba (molto applaudita) ai movimenti animalisti; da gruppi africani tribalistici a dirigenti dell'Internazionale Socialista ai vertici del Partito dei Lavoratori brasiliano (PT), di ispirazione marxista.

Fra i convenuti c'era anche una folta schiera di reduci di Seattle e di Praga.

Tutta questa allegra accozzaglia era però compattamente unanime nel denunciare il grande nemico del nuovo millennio: il neoliberismo.

Cogliendo il senso profondo dell'avvenimento, Le Monde Diplomatìque commentava in un editoriale:

"Una sorta di - Internazionale Ribelle - è nata in Brasile, mentre i signori del mondo si riunivano a Davos, Svizzera".

Da parte sua, in un documento ufficiale il Social Forum si definiva "un arcipelago planetario di resistenza".

La varietà dei temi trattati riflette la stessa eterogeneità delle componenti di questo arcipelago planetario.

Così, da infuocate sessioni in cui guerriglieri colombiani convocavano alla "resistenza armata contro il neoliberismo", si passava a show in cui attrici in topless auspicavano che "la Santa Madre Chiesa corregga gli errori delle tavole di Mosè e il sesto comandamento ordini di festeggiare il corpo".

Una cosa, però, era palese: la consapevolezza che gli ideali del Social Forum fossero la continuazione, in termini moderni, del processo rivoluzionario.

"Perché siamo qui? — si domandava nella sessione inaugurale il candidato marxista alla presidenza del Brasile, José Ignacio da Silva — Che cosa ci accomuna?

Abbiamo lo stesso impulso che ha dato vita alla Rivoluzione Francese, alla Rivoluzione Messicana del 1911, alla Rivoluzione Cubana".

3. Il ruolo basilare del nuovo '68

Finalmente, nel luglio scorso, questa "internazionale ribelle" sbarca a Genova con armi e bagagli sotto il patrocinio del Genoa Social Forum (GSF), con le conseguenze che abbiamo visto.

Non si è quindi trattato di una spontanea manifestazione di protesta, ma di una operazione lungamente pianificata.

"I trecentomila che hanno sfilato in occasione del G8 — spiega Don Luigi Ciotti, fondato re del gruppo Abele e figura di riferimento del movimento no global — non sono spuntati dal nulla.

Erano anni che centinaia e centinaia di gruppi, di associazioni, di piccoli movimenti lavoravano e costruivano e si sporcavano le mani".

L'agenzia ADISTA definisce il GSF come "il cartello che riunisce oltre 500 gruppi, associazioni, ONG, sindacati, centri sociali in lotta contro il neoliberismo".

Il fattore agglutinante è la consapevolezza di essere, in vari modi, i continuatori del processo rivoluzionario.

Già Toni Negri, ex cattivo maestro di Potere Operaio e ideologo del movimento noglobal, proclamava a chiare note:

"II popolo di Seattle? Un'eruzione, un grande fenomeno di libertà. (...) forse un nuovo Sessantotto".

Da parte sua, il sociologo Sabino Acquaviva avvertiva: "Si sta giocando col fuoco. (...) C'è davvero il pericolo che si arrivi a qualcosa di simile al '68".

Semmai, questo giudizio pecca di eccessiva cautela.

Proclamando che il GSF "riprende i grandi valori del '68", Agnoletto dichiara "noi dobbiamo andare oltre".

sinistra cattolica:

Rispunta il cattocomunismo

Ma forse l'aspetto più rivelatore emerso dagli episodi di Genova è stato il ritorno della "sinistra cattolica" o del "catto-comunismo", che da più parti era stato dato troppo frettolosamente per defunto in seguito al tramonto dei movimenti rivoluzionari, suo humus naturale.

Eccolo invece riciclato all'interno della neorivoluzione, di cui anzi in alcuni casi funge da forza tramante.

Lo stesso Agnoletto, portavoce della contestazione, proviene da una doppia militanza: Associazione cattolica degli scout e Democrazia Proletaria.

Tra le componenti della contestazione noglobal spiccano numerose sigle cattoliche.

"C'è anche un pezzo di Chiesa all'interno del movimento di contestazione", rivela ADISTA, precisando che "è piuttosto folta la presenza di gruppi e organismi cattolici all'interno del GenoaSocial Forum".

Sulla prima pagina del Corriere della Sera, Angelo Panebianco denunciava "la ripresa di quel fenomeno, noto come cattocomunismo, che tanto peso ha avuto nella storia del nostro Paese".

E due settimane dopo rilevava: "C'è qualcosa di paradossale nel fatto che mentre la sinistra intellettuale, ormai da tempo, ha buttato il marxismo alle ortiche, esso continui a godere di così tanta popolarità in ambito cattolico".

Purtroppo, non si tratta di un fenomeno marginale. Questi gruppi e organismi non solo vengono spalleggiati da rilevanti settori del cattolicesimo italiano, ma si fregiano perfino di autorevoli legittimazioni da parte di certi esponenti della gerarchia ecclesiastica.

D'altronde, si sentono sicuri dell'acquiescenza di quelle non poche autorità che dovrebbero invece contrastarli.

Non potremo mai sottovalutare questo apporto cattolico, vista la presenza del Papato sul suolo italiano e l'influenza che la leadership spirituale della Chiesa esercita sulla maggioranza degli italiani.

Commentando il manifesto delle Associazioni Cattoliche che, volens nolens, portavano acqua al mulino del Genoa Social Forum, Antonio Gaspari notava che esso "ha creato una grande confusione, fornendo al Genoa-Social Forum visibilità, credibilità e soprattutto una massa di gente da manovrare per fini strettamente politici".

E Panebianco rincarava: "Si è data una patente di legittimità ai contestatori, ingenerando nell'opinione pubblica la sensazione che la Chiesa condividesse il loro manicheismo morale. (...)

Probabilmente, il governo non avrebbe mai dato quel passo [dialogare col GSF] se non avesse registrato una così massiccia adesione del mondo cattolico".

Un'adesione che, tra l'altro, veniva sottoscritta anche da rappresentanti della sinistra come Pietro Burlando, Livia Turco e Marco Minniti, nonché dall'ex-segretario della Quercia Achille Occhetto.

Neanche dopo i gravi incidenti di Genova questi cattolici

TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / SETTEMBRE NOVEMBRE 2001

C’è alleanza tra fondamentalismo islamico e comunismo?

si sono tirati indietro, pur prendendo le distanze dalla violenza che, tutto sommato, è un fattore secondario e strumentale nella Rivoluzione, non la sua essenza.

Dichiara Mons. Diego Natale, presidente del movimento Pax Christi e vescovo di Saluzzo: "È il nostro dovere tenere alta la speranza nata da una colossale mobilitazione dei cattolici.

Il movimento sceso in piazza a Genova allarga gli orizzonti della Chiesa e della società".

Analoga posizione ha preso Mons. Nogaro, vescovo di Caserta.

Orfani del comunismo, i cosiddetti catto-comunisti sembrano alla ricerca di una nuova identità.

Un po' dappertutto li vediamo adesso gioire per averla trovata nella contestazione noglobal.

"La notte oscura continua", secondo un padre storico della teologia della liberazione, il sacerdote belga Joseph Comblin, "e tuttavia stanno comparendo luci che potrebbero annunciare tempi nuovi".

In una dichiarazione all'organo neocomunista L'Unità, Don Luigi Ciotti segnala che "nel mondo cattolico stanno crescendo sempre più le aree 'impegnate' che giudicano l'attuale sistema capitalistico del

tutto inadeguato a gestire questo passaggio di civiltà della storia dell'uomo.

A Genova c'erano moltissimi gruppi cattolici".

Fra le realtà che cominciano a rispuntare vi è la teologia della liberazione.

In occasione del World Social Forum di Porto Alegre, il teologo belga Francois Houtart ha salutato il movimento noglobal come un chiaro segno della "rinascita della teologia della liberazione".

Ma così come sbaglia chi vede nella neo rivoluzione una tardiva manifestazione del marxismoleninismo, sbaglia pure chi scorge in questa "rinascita" una semplice riedizione della teologia della liberazione.

Il riciclaggio della teologia della liberazione

La teologia della liberazione (TdL) non è spuntata ieri dal nulla.

Essa è figlia di quelle correnti che, almeno dai tempi della Rivoluzione francese, si vanno adoperando per spiegare in chiave pseudoreligiosa le successive tappe del processo rivoluzionario e, quindi, trasbordarvi un certo numero di cattolici: una corrente di attivismo sociale di sinistrache comincia come "cattolicesimo sociale", si trasforma poi in "cattolicesimo democratico" e infine sfocia nel "socialismo cristiano"; e una corrente filosofi-coteologica che, nata come "cattolicesimo liberale" ha dato vita al "modernismo" e successivamente alla "teologia nuova" o "progressista".

La TdL ebbe il suo periodo d'oro fra gli anni 19601990, in concomitanza e in intima correlazione con l'apogeo della rivoluzione comunista, specialmente in America Latina.

Col tramonto di questa rivoluzione, analogamente a ciò che è accaduto all'interno dei vari partiti marxisti, anche la TdL ha dovuto iniziare un processo di adattamento alle nuove realtà.

A questo scopo, per esempio, si era tenuto un convegno mondiale di teologi della liberazione nella casa madre dell'Ordine Maryknoll a New York, nel luglio 1988.

E così, come dal ventre della rivoluzione marxista è sorta la neorivoluzione, dal movimento della TdL stanno spuntando una serie di dottrine e di correnti che si prefiggono di offrire una giustificazione pseudoreligiosa alle nuove lotte rivoluzionarie.

Una "Rivelazione" dall'interno del processo rivoluzionario

Lungi dall'essere in contrasto colla vecchia TdL, questo adattamento non è che lo sviluppo logico delle sue premesse dottrinali.

Per appoggiare la Rivoluzione permanente, la TdL si fonda sull'idea di una Rivelazione permanente.

Negando la dottrina cattolica, secondo la quale la Rivelazione pubblica si è conclusa con la morte dell'ultimo Apostolo ed è integralmente contenuta nelle Sacre Scritture e nella Tradizione, la TdL sostiene che essa continua lungo la storia.

Così la TdL distrugge l'idea d'un deposito della Fede completo e di un Magistero che lo interpreta infallibilmente, e va a cercare una rivelazione immanente nelle realtà socio-politiche in evoluzione.

Secondo la TdL, questa rivelazione immanente si manifesterebbe preferenzialmente —

diremmo quasi esclusivamente — mediante un aspetto concreto della realtà storica, e cioè i "poveri" od "oppressi", impegnati in una "prassi sovversiva".

I teologi della liberazione parlano di "poveri", ma questo vocabolo non va inteso nel suo senso stretto, cioè riferendosi alle persone materialmente bisognose.

Nella logica della TdL, "povero" è qualsiasi persona che in qualche modo si senta "oppresso" o "alienato", vittima cioè d'una situazione di discriminazione o di disuguaglianza.

La TdL considera quindi come portatori di "rivelazione" i movimenti ed i processi storici rivoluzionari, cioè i grandi movimenti sovversivi politici, economici e culturali dei tempi moderni.

Con l'orecchio rivolto a questi processi storici ed interpretando il loro senso profondo, secondo la TdL, possiamo in un certo modo sentire la voce di Dio che essi esprimono.

A partire da queste premesse, è facile capire come la TdL sia riuscita ad inserirsi nella neo-rivoluzione.

Basta sostituire "povero" con ognuna delle categorie del neoproletariato sopra descritte, analizzare le "oppressioni" che concretamente gravano su di esse e proclamare poi una "prassi Hberatrice" impregnata di "rivelazione divina".

In questo modo si può ricavare una quantità praticamente infinita di teologie della liberazione: teologia nera, teologia indigenista, teologia femminista, teologia gay, teologia animalista e via dicendo.

Le situazioni rivoluzionarie cambiano enormemente e quindi non esiste una rivoluzione statica.

Il metodo della TdL è applicabile a situazioni e a processi rivoluzionari diversi e sempre mutevoli.

Una di queste situazioni è, appunto, la contestazione noglobal.

È molto significativo che, a giustificazione del suo ruolo da protagonista negli episodi di Genova, Don Vitaliano Della Sala abbia dichiarato che "Dio non è soltanto nel Vangelo, parla anche attraverso la storia".

E la storia passa oggi per la contestazione noglobal che, tra l'altro, egli considera la continuazione della sovversione marxista: "Esiste un filo conduttore tra il nuovo movimento e la guerriglia del Che Guevara".

Una prassi rivoluzionaria

Secondo la TdL il "povero" pacifico e rassegnato non costituisce di per sé una fonte di rivelazione.

Questo privilegio spetta unicamente a coloro che sono concretamente impegnati in una prassi sovversiva tesa a cancellare le situazioni di oppressione.

Da questa prospettiva, sono solo quindi i rivoluzionari militanti, i partigiani di dottrine eversive e i fomentatori di rivolte a poter interpretare in modo adeguato la voce di Dio immanente nella storia.

Le loro attività sovversive diventano luoghi privilegiati di rivelazione, la materia prima di cui sarà poi fatta la teologia della liberazione.

Questo punto è importante.

Più che una dottrina, la TdL è una prassi, e concretamente una prassi rivoluzionaria.

"Ciò che noi intendiamo per teologia della liberazione è l'inserimento nel processo politico rivoluzionario", scrive il teologo peruviano Gustavo Gutiérrez, fondatore della corrente.

È perciò che i teologi della liberazione usano l'insolita espressione "fare teologia", anziché conoscere o studiare teologia.

Non ci vuole troppa immaginazione per capire come, nella logica della TdL, un militante del Black Block sventolando una bandiera nera su una macchina bruciata e capovolta a Genova possa essere considerato un "povero" nell'atto di "fare teologia"...

Quale futuro?

Si svilupperà questa nuova TdL fino alle ultime conseguenze?

Si impegneranno i progressisti cattolici fino in fondo nella contestazione noglobal? Trascineranno con loro la massa dei fedeli?

La risposta a queste domande dipenderà largamente dalla risoluzione dei quesiti posti all'inizio.

Davanti alla neorivoluzione si vanno formando due blocchi, separati da fessure molto più accentuate in profondità di quanto non appaiano in superficie.

In termini più semplici, sarebbero i partigiani della contestazione e i suoi oppositori. Tutto dipenderà essenzialmente dalla rispettiva farce de frappe dei due schieramenti.

Quale sarà maggiore?

C'è però il grande dato nuovo: assistiamo anche al crescente spostamento d'una maggioranza finora inerte verso atteggiamenti, se non di attiva opposizione alla Rivoluzione, almeno di rifiuto delle sue manifestazioni più estremiste.

Fin dove arriverà questo spostamento? Ecco la grande domanda alla quale solo il futuro saprà rispondere.

Una verità nascosta:


L'ombra della Rivoluzione sul fondamentalismo islamico


Dopo gli attentati dell'11 settembre, il tema più trattato dai media è l'Islam.

Le sue molteplici correnti vengono accuratamente suddivise, descritte e paragonate &a loro. In maniera superficiale, si ciancia su "moderati" e "radicali", e s'indaga sulle complesse divisioni etniche e culturali.

"Personalità" islamiche, in verità del tutto sconosciute, vengono presentate all'Occidente e le parole arabe vengono utilizzate come se tutto il mondo le capisse.

Dopo questo bombardamento psicologico, il lettore chiude il giornale, o spegne la tivù, con la sensazione di non aver ricevuto una informazione oggettiva e chiara sulla realtà.

Un aspetto capitale della tematica sembra venirci meticolosamente nascosto: cosa è in realtà questo fondamentalismo islamico?

S'identifica veramente con Maometto e col Corano?

E se non s'identifica, cosa è allora?

D'altra parte, perché la sinistra più radicale dell'Occidente, particolarmente il cosiddetto cattocomunismo, non riesce a nascondere la propria simpatia per i talebani fondamentalisti?

Perché 23 vescovi di Brasile, Argentina e Messico, hanno duramente criticato gli attacchi angloamericani all'Afghanistan paragonandoli ad atti terroristici, con l'aggravante — secondo loro — di essere compiuti "da governi che si presentano come democratici, civilizzati e cristiani"?

Infine, dietro le apparenze, esiste un denominatore comune che unisce la sinistra progressista al fondamentalismo islamico?

Islam: mondo finora sconosciuto e poco significativo per l'Occidente

L'Islam, in quanto fede religiosa, è sparso in una immensità di popoli, che vanno dall'Atlantico fino alla Polinesia, alcuni dei quali immersi in una grande miseria.

Fino a poco fa, il suo multisecolare torpore era perturbato solo da dispute locali.

L'afflusso di petrodollari, che dovrebbero servire a promuovere lo sviluppo moderno nei domini islamici, sembrava Luis Dufaur non aver eliminato questa paralisi; Soltanto un pugno di emiri, sceicchi e sultani sprecava miliardi in lussi sfrenati, in genere di cattivo gusto e spesso immorali, mentre la massa delle popolazioni — seguendo gl'insegnamenti del "Profeta" sulla "sottomissione" ("Islam" appunto) — vegetava all'ombra di quegli arcimiliardari.

Era diventata abissale la sproporzione tra l'organizzazione e lo slancio dell'Occidente, nato dalla civiltà cristiana — sebbene oggi profondamente corrotto dal neopaganesimo — e il disordine e l'immobilismo della pesante eredità di Maometto.

Nel secolo XIX, quasi tutte le terre musulmane erano sotto controllo di nazioni europee, ricche e dinamiche.

Se la paralisi non genera movimento, donde viene quel dinamismo?

All'inizio del secolo XX, in quel magma da secoli sclerotizzato, esplose una tendenza nuova chiamata fondamentalismo.

Essa è attiva, aggressiva, modernizzata nelle sue tecniche / molte volte terroristica.

All'improvviso incominciò a minacciare l'ordine occidentale neo-paganizzato, un tempo cristiano, "padrone dell'universo".

Dice l'adagio popolare: nessuno da quello che non ha.

Siccome la paralisi non genera il movimento, il dinamismo può provenire solo da chi lo possiede.

Un rapido giro nelle biografie dei capi islamici fondamentalisti mostra che essi, nella maggioranza, si laurearono nelle università dell'Occidente o in equivalenti scuole occidentalizzate nell'Oriente, I loro scritti riproducono le stesse idee che corrodono le basi cristiane delle società occidentali.

E come se il virus rivoluzionario occidentale fosse stato iniettato in un brodo di coltura ristagnante, producendo una infezione esplosiva, con caratteristiche proprie ma con la stessa o maggiore pericolosità.

Il capo terrorista Bin Laden è un esempio caratteristico di questo processo di laboratorio della Rivoluzione.

Figlio di miliardari, fu educato nell'esclusivo collegio Le Rosey, in Svizzera.

La sua giovinezza fu quella di un playboy del jetset, in mezzo a lussi e scandali nelle grandi capitali occidentali, nel Libano e nell'Arabia Saudita.

Sì, di quel jetset che tanto piace a certe sinistre...

Hassan el Turabi, ideologo del regime persecutore dei cristiani in Sudan, si è laureato ad Oxford e alla Sorbona.

Ali Benadi e Abasi Madani, capi fondamentalisti dell'Algeria, impararono le loro dottrine e tecniche sovversive in Europa.

Anche i seguaci più stretti di Bin Laden provengono da ambienti colti e agiati. La lista è interminabile.

Lo studioso francese Roger du Pasquier commenta che i teorici più autorevoli in seno ai movimenti integristi e attivisti impegnati nel mondo musulmano, nonostante il loro formale e superficiale rifiuto, manifestano in realtà una contaminazione intellettuale da concezioni occidentali moderne. Quali concezioni?

Egli chiarisce: "Le forze sovversive che da due secoli hanno causato tante rivoluzioni e violenze in Occidente e in Oriente, perfino in Cina".

Cioè, il socialismo e il comunismo, non nelle versioni ormai fallimentari, ma in versioni più aggiornate, come vedremo.

Il lettore ricordi questo concetto e vedrà che può essere la chiave di lettura per capire molti degli avvenimenti attuali.

Noti promotori della Rivoluzione anticristiana in Occidente sono divenuti musulmani

Da anni, personalità impegnate nella Rivoluzione politico-sociale e culturale che squassa le fondamenta cristiane dell'Occidente sono divenute musulmane, senza però rinunciare alle loro idee. Per esempio, Roger Garaudy, già responsabile del Partito Comunista francese per i rapporti con le religioni, ha predicato l'islamismo fino alla morte, come via superiore per raggiungere le mete utopistiche di Marx e Lenin.

Cat Stevens, star della musica rock, anche lui si è sbattezzato nell'Islam e finanzia una ONG islamica.

Lo stesso hanno fatto, fra gli altri, l'ecologista Jacques Cousteau, il coreografo Maurice Béjart, i cantanti Richard e Linda Thompson, il campione mondiale di box Cassius Clay, che aderì ai Musulmani Neri, movimento filomarxista capeggiato da Malcoim X, un altro convertito.

Primi tentativi d'inoculazione rivoluzionaria nell'Islam

Nei secoli di ristagno, ci furono tentativi di riaccendere il furore anticristiano islamico, ma non andarono oltre casi ristretti.

Per esempio Muhammad Ibn Abdel Wahhab (17031787) formò una confraternita radicale — il wahhabismo — che sarebbe rimasta ignota se, in occasione della prima Guerra Mondiale, i suoi scarsi seguaci non si fossero alleati all'Inghilterra contro la Turchia.

Dopo il conflitto, ricevettero come ricompensa il regno dell'Arabia Saudita.

Fu alla fine del secolo XIX e durante il XX che crebbe la penetrazione di idee rivoluzionarie occidentali nel mondo musulmano.

Djamal edDin Afghani, a partire da Londra, attizzò l'insurrezione iraniana.

Muhammad Abduh (1849 - 1905), il suo continuatore, predicò le idee progressiste europee di tipo anticolonialista.

Nell'India Sayed Ahmad Kahn, che vantava il titolo di sir inglese, creò il nucleo del pensiero nazionalista musulmano, da cui nacque il Pakistan (il "Paese dei Puri").

Muhammad Iqbal (18731938), un altro baronetto inglese, laureato ad Oxford, Heidelberg e Monaco di Baviera, ammiratore di Hegel, Nietzsche e Bergson, fu colui che formulò l'idea e il nome del l'attuale Pakistan.

Egli elogiava il marxismo e tentò di realizzare la sintesi fra il socialismo e la dottrina di Maometto.

Il suo discepolo, Abdui Ala Maududi, fortemente modernista, predicò una terza via fra il capitalismo e il comunismo ed è considerato il padre del fondamentalismo pakistano odierno.

Dalla notte al giorno, da Marx a Khomeini

Nella famosa rivoluzione di Khomeini in Iran, iniziata nel 1979, numerosi militanti della sinistra divennero fondamentalisti.

L'intellettuale cristiano marxista Gahii Chuckri narra:

"Fra gli aspetti che ancora sono presenti alla memoria, c'è il fatto di aver visto pensatori, noti per il loro passato marxista, diventare in un batter d'occhio islamici convinti.

Sì, pensatori che appartenevano — in quanto battezzati — al Cristianesimo, si trasformarono, dalla notte al giorno, in musulmani estremisti; pensatori che appartenevano per cultura all'Occidente e al modernismo, diventarono fanatici dell'Oriente, senza alcuna remora o restrizione!".

Il Partito Comunista iraniano (Tudeh) approvò la rivoluzione degli ayatollah: "II contenuto del processo di evoluzione storica prende oggi un aspetto religioso.

Per i marxisti, è perfettamente naturale che la lotta di liberazione, a seconda delle condizioni del tempo e del luogo, assuma forme differenti. (...)

Questa rivoluzione anti-imperialista, antidittatoriale e popolare è stata fatta secondo le parole d'ordine dell'Islam e sotto la direzione di un capo religioso celebre nell'Iran, l'imam Khomeini".

Tornato da Parigi, Khomeini creò l'organizzazione terroristica Hezbollah.

Il discorso inaugurale dell'organismo fu una parafrasi del sovversivo grido di Marx ed Engeis, "Proletari di tutto il mondo, unitevi!".

"Finora gli oppressi erano disuniti e nulla si ottiene dalla disunione.

Adesso che è stato dato un esempio di efficacia dell'unione degli oppressi in terra musulmana, questo modello dev'essere diffuso dappertutto e prendere il nome di 'Partito degli Oppressi, sinonimo del ' Partito di Dio ' (Hezbollah).

Gli oppressi devono regnare sulla terra, questa è la volontà dell'Altissimo, di Allah".

Come si vede, si tratta del vecchio marxismo travestito da islamismo.

Bruno Etienne, professore d'Islamismo all'università di Aixen Provence in Francia, spiega l'affinità fra Marx e il fondamentalismo: "La lotta di classe, come Engeis l'aveva prevista, non sbocca nella rivoluzione tranne che quando essa si può presentare in termini religiosi; la finalità dell'islamismo radicale è molto mondana: creare un regno ugualitario che rovesci l'arroganza dei padroni".

Per svelare le profondità del fondamentalismo

Nulla ha contato tanto nella genesi del fondamentalismo quanto l'associazione egiziana Fratelli Musulmani, fondata nel 1928 da un modesto professore, Hassan alBanna.

"La resurrezione islamica, che si manifesta oggi nel mondo arabo, proviene direttamente o indirettamente dall'organizzazione dei Fratelli Musulmani", spiega un sito islamico americano che pubblica la sua biografia.

In una opera chiave, al Banna insegna che il dovere dei Fratelli è "espandere l'Islam in tutti gli angoli del globo, finché non ci sarà più rivolta ne oppressione e la religione di Allah avrà prevalso".

Insegna anche il loro slogan: "La morte sulle vie di Allah dev'essere la nostra più nobile aspirazione".

In questa Fraternità, sunniti e shiiti marciano fianco a fianco e mantengono una unità di azione.

Nel 1989, il regime di Teheran divulgò un opuscolo che accumulava esempi di concordanze e collaborazioni fra sunniti e shiiti radicali in seno ai Fratelli.

Esso trascrive lodi sperticate della Fraternità a Khomeini e, viceversa, esalta al Banna come grande artefice di questa unità.

Ai suoi primordi, l'organizzazione simpatizzò per le idee nazifasciste, nazionaliste, antica-pitalistiche e antiebraiche, all'epoca di moda in Europa.

Tale tendenza non ha mai smesso di esistere nel movimento fondamentalista, ma in genere è stata accresciuta da altri elementi.

Sayyid Qutb il Gramsci del fondamentalismo rilegge il Corano in chiave rivoluzionaria.

Nessuno segnò tanto la Fraternità Musulmana quanto Sayyid Qutb (19061966), che rappresentò per il fondamentalismo ciò che l'italiano Gramsci fu per il comunismo, cioè fece con Maometto quello che il pensatore sardo fece con Marx: una rilettura rivoluzionaria.

Negli Stati Uniti, Qutb conobbe la rinascita pentecostalista del protestantesimo, basata sul ritorno alle cosiddette fondamenta.

Di conseguenza il "fondamentalismo" venne esteso al neoislamismo, anche se questo non impiega mai tale termine.

Qutb riadattò la vulgata musulmana alle utopie rivoluzionarie occidentali.

E necessario, secondo lui, che l'Islam torni alla sua natura originaria, alle sue fondamenta; e riformulò tali fondamenta parafrasando la dottrina anarchica della disalienazione (nessuno dev'essere sottomesso a nessuno).

Nel suo libro basilare insegna: "L'Islam è una dichiarazione generale di liberazione del l'uomo nel mondo dalla dominazione da parte dei suoi simili; (...) il rifiuto completo del potere di ogni creatura, sotto ogni forma; il rifiuto di ogni situazione di

dominazione su esseri umani per opera di organizzazioni o situazioni, di qualunque forma.

Quando il potere è in mano ad esseri umani, questi impersonano il Creatore e di conseguenza vengono accettati dai loro simili.

Orbene, questo è misconoscere ed espropriare il potere di Allah.

"Insieme Iran e Cuba sono in condizione di mettere in ginocchio l'America.”

Fidel Castro all'Università di Teheran, nel corso di un giro per i paesi arabi radicali lo scorso maggio. (AFP, 10052001).

Fino a dove potrà arrivare questa sorta di simbiosi fra fondamentalismo islamico e comunismo?

e questi usurpatori devono essere eliminati. Questo comporta la negazione del regno degli esseri umani, per sostituirlo con un regno divino sulla terra".

Qutb sapeva che un regno diretto di Allah sugli uomini non è realizzabile e allora proponeva un regime intermediario in cui una organizzazione poco visibile guidasse i popoli, fino al momento in cui ogni governo

cesserebbe e gli uomini passerebbero a vivere in contatto diretto con Allah.

Cioè, qualcosa di analogo alla "avanguardia del proletariato" di Lenin.

Le somiglianze fra il progressismo cattolico e il fondamentalismo islamico

Secondo il Corano, Dio si rivelò originariamente ad Abramo.

A causa della prevaricazione degli ebrei, si manifestò poi a Gesù.

Ma anche i cristiani falsificarono la rivelazione divina, e allora Dio si manifestò a Maometto.

Il Corano sarebbe il messaggio definitivo indiscutibile e Maometto l'ultimo dei "profeti".

Qutb spiega l'apostasia dei cristiani seguendo il pensiero del progressismo occidentale.

Le prime comunità cristiane, secondo lui, avevano un diretto contatto con Dio, senza intermediari ne autorità ne dottrine razionali.

Ma il riconoscimento di un magistero teologico e pastorale razionale portò alla catastrofe. E aggiunge: "La più grande calamità fu il successivo evento del trionfo storico del cristianesimo.

Esso accadde quando l'imperatore romano Costantino abbracciò la nuova religione".

E poi, secondo Qutb, i concili definirono verità di fede e rafforzarono l'autorità pontificia.

Qutb vedeva difensori della "vera religione" negli eretici ariani, monofisisti e giacobiti, scomunicati dalla Chiesa.

L'apostasia, secondo la sua tesi, culminò nel Medioevo.

Qutb se la prende contro il monachesimo medioevale, l'ubbidienza e la castità praticata da monaci e frati.

"Furono introdotti nel credo — asserisce — dogmi astratti assolutamente incomprensibili, inconcepibili ed incredibili (...) il più sorprendete dei quali fu il dogma riguardante l'Eucarestia, contro cui si rivoltarono Martin Lutero, Giovanni Calvino e Ulrich Zwingli, ponendo le basi di quel fenomeno storico-religioso chiamato Protestantesimo".

Egli aborrisce anche l'Inquisizione, che punì Giordano Bruno con la morte e Galileo Galilei con le censure ecclesiastiche.

Nelle eresie e nelle contestazioni alla Chiesa cattolica, egli vede segni precursori di un ritorno al messaggio primitivo del Cristianesimo, che sarebbe rimasto integro nell'Islam.

"L'Europa si ribellò fai Cristianesimo; l'Europa si ribellò contro l'arbitrio degli uomini di Chiesa.

Ma l'Europa ribelle rimase tanto segnata dalla Chiesa che non se ne può sperare la salvezza".

L'europeo, secondo lui, in ogni cosa ragiona logicamente, fa distinzioni, per influenza della Chiesa prevaricatrice.

La missione del fondamentalismo: completare la Rivoluzione anticristiana.

Questa è una delle chiavi di lettura per comprendere il fenomeno del fondamentalismo islamico.

Siamo allo stadio culminante del processo rivoluzionario, denunciato e analizzato da Plinio Correa de Oliveira.

Qutb riverisce i "principi della Rivoluzione francese e i diritti di libertà individuale, all'inizio dell'esperienza democratica nordamericana".

Tuttavia, lamenta che "questi valori non si sono mai pienamente sviluppati ne realizzati interamente.

Essi sono insufficienti per far fronte alle esigenze di una umanità in evoluzione".

La salvezza, concludeva l'ideologo dei Fratelli Musulmani, non verrà dall'Occidente ma dall'Islam, che completerà ciò, che la ribellione contro il Cristianesimo non è riuscita a fare.

"Ciò presuppone una operazione di risurrezione islamica che sarà seguita prima o poi dalla conquista del comando del destino umano nel mondo".

"L'Islam è destinato a tutto il genere umano: il suo campo di azione è la terra, tutta la terra", che deve costituirsi in una Repubblica islamica universale, sotto la guida di autorità religiose coperte dal segreto.

Sradicare dalla terra tutte le vestigia della Cristianità

Ecco la finalità del ritorno alle fondamenta: scacciare dalla terra le ultime vestigia di Cristianità che ancora sopravvivono nei Paesi un tempo cattolici.

Cioè, gli ultimi riflessi soprannaturali sull'ordine temporale, che sono fra i beni più preziosi donati al mondo dai meriti della Passione e Morte di Nostro Signore Gesù Cristo.

Qutb espone una visione abbastanza chiara del processo rivoluzionario che, dalla decadenza del Medioevo, va corrodendo la Civiltà cristiana.

Tuttavia, gli aggiunge un epilogo tragico che pochi hanno intravisto: alla fine della Rivoluzione anticristiana non si realizzerà un mondo di piaceri e libertà, ma una sinistra tirannia materiale e morale, sotto la frusta del fanatismo fondamentalista islamico.

Una Rivoluzione che supera il comunismo sclerotizzato

Per quanto riguarda la proprietà privata, il prof. Olivier Carré riassume così le massime di Qutb: "Nell'Islam, il proprietario non ha mai il diritto di usare o di abusare del suo bene.

Nell'Islam, la proprietà privata è un mezzo sociale al servizio delle utilità.

Ma allora come spiegare il fatto che fondamentalisti islamici si dichiarino anticomunisti?

L'ayatolah Baqir assadr, chiamato "il Khomeini iracheno", giustiziato nel 1980, così risolve la difficoltà.

Egli sintetizza la dottrina comunista: "II fine inconscio che il marxismo attribuisce al movimento della storia consiste nell'eliminazione degli sbarramenti sulla strada dello sviluppo delle forze produttive.

Questo fine sarà raggiunto mediante l'abolizione della proprietà privata e la costruzione di una società comunista".

E, in seguito, introduce la critica fondamentalista: "Dopo questa liberazione, la storia si fermerà e tutte le potenzialità e l'impulso dell'uomo nuovo spariranno".

Per evitare che l'evoluzione si fermi, spiega l'ayatollah, ci vuole un orizzonte nuovo che trascini gli uomini oltre il comunismo.

Una teologia della liberazione per il mondo islamico?

Questo orizzonte nuovo dev'essere religioso. Dice as Sadr: "Porre Allah come fine della marcia evolutiva costituisce l'unica struttura ideologica che può offrire al movimento umano una inesauribile energia".

In questa prospettiva i comunisti classici rappresentano una sclerosi e devono essere eliminati. Il compito verrà quindi assegnato ai religiosi.

L'orizzonte nuovo ha anche una finalità di rottura.

Nel mondo musulmano, l'autorità naturale e religiosa dei capi tribali ed etnici è tenuta in grande considerazione.

Per i rivoluzionari era impossibile distruggere quel resto di ordine naturale appellandosi alle dottrine laiche moderne, "perché prima o poi il movimento nuovo mostrerà la sua vera faccia di nemico dichiarato della Religione.

Questo porterà a un grande spreco di energie ed esporrà l'opera in corso ai pericoli provenienti dalla maggioranza dei conservatori del mondo islamico".

Questo risultato diventa ottenibile solo sotto vesti religiose.

Del resto, mutatis mutandis, lo stesso avviene con il progressismo cattolico che, per motivazioni analoghe a quelle dei fondamentalisti musulmani, ha fatto ricorso alla teologia della liberazione.

Dalle "mille e una notti" alle tenebre infernali

II fondamentalismo non mira a riaccendere il mondo delle Mille e una notti, degli affascinanti tappeti, dei mitici emiri e sceicchi del deserto, degli slanciati ed eleganti minareti e delle dorate moschee, del TajMahal.

Quell’universo di meraviglie riflette aspetti positivi che oggi languiscono nell'Islam.

Il fondamentalismo mira anzi a estinguere quelle potenzialità dell'anima che potrebbero far sbocciare civiltà da favola — se si convertissero all'unica vera Chiesa, quella santa, cattolica e apostolica — e vuole anzi una civiltà proletarizzata, miserabilista, tribale.

E a questo scopo, per convenienza, si maschera con antiche e sacrali venustà.

La rivoluzione ugualitaria occidentale inoculata nell'islamismo genera il mostro fondamentalista.

Roger Garaudy, già dirigente del PC francese poi diventato islamico, raccontò le sue conversazioni col dittatore libico Muhammar Gheddafi.

Significativa vignetta pubblicata sul giornale spagnolo El Pais, nel 1992.

Pensatori socialcomunisti vanno da tempo affermando che il fondamentalismo islamico è succeduto al marxismo come motore della lotta di classe.

fino a poco tempo fa ritenuto in Occidente sostenitore del terrorismo internazionale. Gheddafi gli fece vedere la traduzione politica del versetto II13 6 del Corano: "E una democrazia diretta senza deleghe di potere e senza alienazione.

Niente si sostituirà al popolo, ne partiti ne parlamenti.

Democrazia diretta attraverso comitati e congressi popolari, come emanazione immediata delle imprese, delle cooperative agricole, delle università, dei villaggi e dei quartieri".

In altre parole, un aggiornamento del modello che i soviet non sono riusciti a realizzare e che le sinistre riciclate tentano di raggiungere impiegando varie forme di autogestione.

Nel 1995, Garaudy pubblicò il libro Verso una guerra di Religione?

II dibattito del secolo, prefatto da Leonardo Boff, teologo della liberazione ed ex religioso.

L'ex frate francescano qualificava Garaudy come un profeta che, assieme a Mons. Helder Camara, avrebbe posto le fondamenta per una convergenza cristiano-marxista in chiave anti-capitalistica, e aggiungeva che il fondamentalismo islamico vive dello stesso fuoco libertario della teologia della liberazione.

Garaudy annuncia una guerra di religione, non fra la Chiesa cattolica e l'Islam, ma quella dei credenti ribelli contro ogni forma di autorità, perché questa sarebbe intrinsecamente complice del capitalismo consumistico ed edonistico.

Infatti, il fondamentalismo islamico fa parte di un vasto movimento che oltrepassa i limiti dell'islamismo storico.

Il molto documentato Atlas Mondial de l'Islam Activiste constata che "la rinascita islamica non è un fenomeno isolato, ma s'inserisce in un movimento globale di rifiuto del materialismo mercantilistico e mediatico, che dilaga nel mondo da decenni.

Questo movimento ha una dimensione naturalistica: quella ecologista, e una religiosa: il ritorno alle fondamenta".

Il fondamentalismo è oggettivamente un alleato delle forze del caos, che si sono manifestate nel World Social Forum di Porto Alegre, nelle sommosse di Seattle, Praga e Genova e nella sovversione ecclesiastica progressista.

Il fondamentalismo, feccia dell'Occidente, cerca di realizzare una sintesi della Rivoluzione con l'Allah maomettano. Questa funesta convergenza ricorda la tesi di uno storico articolo del prof. Plinio Corréa de Oliveira: "Se Oriente e Occidente si uniscono fuori della Chiesa, genereranno mostri".

Il fondamentalismo islamico e il terrificante attentato dell'11 settembre ne costituiscono una tragica conferma.

Articolo tratto da Tradizione Famiglia Proprietà

Anno 7, n. 34 set. Nov. 2001

“El islamismo, relevo del comunismo” – vignetta pubblicata su El Pais, nel 1992. Pensatori socialcomunisti vanno da tempo affermando che il fondamentalismo islamico è succeduto al marxismo come motore della lotta di classe.

* Trascritto di Catolicismo, organo della Th'P brasiliana. No. 611, novembre 2001, pp.1521.

Note

1. O Estado de S. Paulo (Brasile), 23102001.

2. Cfr. O Globo (Brasile), 2509 2001; O Estado de S. Paulo, 30092001.

3. Roger du Pasquier, Le réveil de l'Islam, Cerf/Fides, Parigi 1988, p. 34.

4. du Pasquier, op. cit., pp. 5664.

5. Ghali Chuckri, Al Bay adir. No. 11, 01021982. In Al Hoda, El sunnismo y el shiismo: una querelici artìficial y una provocación pèrfida, Teheran, 1989, p. 34.

6. Ehsan Tabari, "Le role de la religion dans notre revolution", in La Nouvelle Reviie Internationale. Problemes de la l'aix vi du socialisme, No. 12 (292), dicembre 1982, pp. 8889. Tabari firma questo pezzo come "membro de) Bureau politico e segretario del CC del Partito Popolare d'Iran, Tudeh".

7: Institut de Criminologie de Paris. Centre de Recherche sur la Violence Politique. Xavier Raufer, ed., Atlas mondial de l'Islam activiste. La Table Ronde, Parigi, 1991,p.234.

8. Bruno Étienne, L'islamismo radicai, Hachette, Parigi, 1987, p. 327.

9. Http ://www.j annah. org/articles/li assan.htmi.

10. Six tracts of Hasan AlBanna, International Islamic Federation of Student Organisations, Kuwait, s/d, pp. 1618.

11. Al Hoda, op. cit.

12. Cfr., per esempio, Shayk Abdui Qader AlMurabit, Para el hombre que viene, Ediciones Ribat, GranadaMéxico Chicago, 1988.

13. Sayyid Qutb, Jalons sur la route de l'Islam, International Islamic Federation of Student Organisations, Kuwait, s/d, 293, pp. 9697.

14. Sayyid Qubt, II futuro sarà dell'Istalli, International Islamic Federalion of Student Organisations, Kuwait, 1980, pp. 4244.

20. Olivier Carré, Mystìque et politìque Lecture révolutionaire du Coran par Sayyid Qubt Frère Musulman radicai, Les Éditions du Cerf / Presses de la Fondation Nationale des Sciences Politiques, Parigi, 1984, p. 149.

21. Baquir asSadr, senza titolo, in AlHoda, op. cit., pp. 910.

22. Baquir asSadr, id., p. 27.

23. Roger Garaudy, Appel aux vivants, Seuil, Parigi, 1979, pp. 294195.

24. Desclée de Brower, Parigi, 1995.

25. Atlas mondial de l'Islam acliviste, p. 14.

26. Cfr. Catolicismo, No. 106, ottobre 1959.

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il vero volto dell'istituzione

Il signoraggio bancario è il nostro

più alto simbolo istituzionale OCCULTATO disonestamente e criminosamente al popolo, questo è il VERO motivo di tutti i MALI che affliggono la nostra falsa democrazia venduta dai massoni ai banchieri ebrei dal suo sorgere.

Pertanto, tutto il Pianeta è fondato sull'immoralità ideologica quanto economica.
Poiché gli illuminati perseguono il progetto di un uomo animale asservito totalmente ("il potere corrompe, ma il potere assoluto corrompe totalmente!"), ecco che essi commettono un crimine mai commesso fino ad ora: CRIMINE di ESTINZIONE SPIRITUALE di tutto il genere umano.

Questo è il più grave Delitto di LESA Maestà e violazione criminale dei principi Costituzionali di base.

Per questo, adesso si cerca di manipolare anche la Costituzione unico nostro baluardo al diritto già criminalizzato.






Nota: REVISIONISMO STORICO

Il problema dei nostri giorni non è quello della complessità e che bisogna studiare molto e moltissimo per poter capire qualcosa.
Ma che bisogna saper cercare nella contro-informazione quelle fonti "genuine" che non ci facciano cadere nella "fosso" del depistaggio.
Una schiera sterminata di "mangia pagnotte S.p.A.", ovvero di: funzionari, massoni, politici e di docenti universitari collaborazionisti del signoraggio bancario, ora hanno reso davvero difficile, non solo la comprensione reale della storia nei suoi avvenimenti, ma anche e soprattutto, rendono incomprensibile la stessa realtà che ci circonda.


Allora, veniamo al dunque:
"sei disposto a sacrificare la vita come me, oppure preferisci dare un contributo economico? Oppure, appartieni al popolo dei vigliacchi e preferisci nasconderti e fuggire dalle tue responsabilità? In questo caso degradante e vergognoso, come potrai sfuggire alle mie maledizioni? E comunque ti parlo così perché sei gia nella trappola di
"Questo sistema criminale e parassitario del fondo monetario internazionale di Ali Baba e dei suoi 40 ladroni di Banchieri Ebrei S.p.A., questi non solo non vi concederanno alcuna speranza, ma vi stanno gia portando al disastro totale NUCLEARE! SVEGLIATI BAMBOCCIONE!"

IBAN : IT33E0358901600010570347584,(non detraibili e non deducibili)
Reagite per voi stessi e per i vostri figli!
Quanto a me, io sono solo un contadino, che ha molti figli dal polo Sud al polo Nord e per questo deve MOLTO zappare, MOLTO seminare e Molto faticare per sfamarli tutti, perché a nessuno di loro venga negato il diritto alla VITA!
Per gli "illuminati" e gli USA, la guerra è una necessità così indispensabile che farebbero la guerra pure contro se stessi, e infatti sono capaci di inventarsi dei nemici immaginari come per esempio un certo Bin Laden che non ne sa niente:
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